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[VIDEO] Eparchia di Lungro, Assemblea diocesana a Frascineto (CS) il 30 – 31 agosto

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VIDEO: Giorno solenne in onore di san Nicola di Myra a Lungro (CS) 07/12/2015

12358221_882226478560238_2033123477_nFesteggiamenti in onore di san Nicola di Myra a Lungro (CS) dove è venerato quale patrono della città e della Diocesi dei cattolici di rito bizantino.

La festa è iniziata il 5 dicembre nella cattedrale di Lungro con la celebrazione solenne del Vespro e con la benedizione dei pani (artoklasia), presieduta da S.E Mons. Donato Oliverio Vescovo della Diocesi degli Italo-Albanesi.

L’ufficiatura liturgica serale secondo il rito bizantino, di grande ricchezza e bellezza, celebra le glorie di San Nicola, cantate dai migliori poeti di Bisanzio, suscitando in tutti i credenti il desiderio di imitarne le virtù rendendoli fiduciosi di ottenere quelle grazie abbondanti che Egli, quale dispensatore dei favori celesti, sa efficacemente e prodigalmente concedere. Il rituale della benedizione, la frazione e distribuzione dei pani, ha visto la partecipazione di migliaia di fedeli che hanno gremito la cattedrale.

Per tutta la notte nei vicoli del caratteristico centro storico di Lungro, intorno ai falò, i fedeli hanno vegliato in onore del Santo cantando antichi inni in lingua arbëreshë, parlata come prima lingua dalla minoranza etnica e linguistica “albanese d’Italia”.

Il mattino seguente, giorno della festa del Santo, Mons. Oliverio ha celebrato la Divina liturgia.

Antonio Calisi

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VIDEO: Lungro (CS), inaugurato il Museo Diocesano dell’Eparchia dei cattolici di rito bizantino 21/11/2015

imageÈ stato inaugurato il 1° novembre 2015 alle ore 16.30 il Museo diocesano dell’Eparchia di Lungro (Cosenza), di rito bizantino greco con sede presso il Palazzo vescovile lungrese in C.so Skanderberg.

Durante la cerimonia inaugurale, a dare il saluto iniziale è stato S.E. mons. Donato Oliverio, vescovo dell’eparchia, cui è seguito l’intervento di Margherita Heichberch, soprintendente alle Belle Arti e di Papàs Nicola Miracco Berlingieri Direttore del museo.

L’apertura del museo, voluto da S.E. Mons. Ercole Lupinacci, vescovo emerito dell’Eparchia di Lungro, e completato da S.E. Mons. Donato Oliverio, costituisce un importante strumento per il consolidamento della memoria storica dell’Eparchia lungrese.

Il Museo ospita paramenti sacri, in modo particolare dei vescovi che si sono succeduti nell’eparchia dalla sua istituzione, nel 1919, ma anche alcuni dei paramenti dei vescovi ordinandi precedenti a tale data, suppellettile liturgica, tessuti e argenterie sacre databili dal XVI al XX secolo, provenienti dalla Cattedrale di San Nicola e da altri edifici di culto del territorio diocesano, che documentano la storia dell’Eparchia di Lungro e della comunità albanese di rito bizantino.

Fa bella mostra di sé un pregevolissimo Epitafios, di fattura meridionale databile al primo quarto del XX secolo.

Numerosi i visitatori che hanno potuto ammirare l’esposizione e visitare la curia lungrese.

Antonio Calisi

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VIDEO: Elpidophoros Lambriniadis in visita a Cosenza e nei paesi albanesi 30/10/2015

Visita di Sua Eminenza il Metropolita Elpidhophoros del patriarcato di Costantinopoli

alla diocesi di Lungro degli italo – albanesi

12049730_10204928882162159_4034039043395776082_nIl Metropolita Elpidophoros Lambriniadis è stato gradito ospite del vescovo di Lungro, mons. Donato Oliverio, da venerdì 23 a domenica 25 ottobre 2015, giunto in Calabria con la benedizione di Sua Santità Bartolomeo Patriarca di Costantinopoli per partecipare al III Convegno Ecumenico organizzato dalla Conferenza Episcopale Calabra e visitare la diocesi di Lungro.

Elpidophoros Lambriniadis è Metropolita di Bursa, igumeno del Monastero Patriarcale e Stavropigiaco Santa Trinità nell’isola di Chalki ed è figura di grande importanza nel Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli.

Venerdì 23 alle ore 19,30 è stato accolto a Cosenza nella parrocchia SS. Salvatore accompagnato dal Vescovo di Lungro Mons. Donato Oliverio e accolto dal parroco papàs Pietro Lanza e dai suoi parrocchiani. In seguito i partecipanti si sono mossi nel vicino Seminario Maggiore dell’Eparchia per un momento di fraternità organizzato dai seminaristi.

Sabato mattina ha visitato le comunità Arbëreshë di Santa Sofia e San Demetrio Corone, per poi recarsi nel pomeriggio a Catanzaro dove ha partecipato in qualità di relatore al III Convegno Ecumenico Regionale organizzato dalla diocesi di Lungro da mons. Donato Oliverio delegato della Conferenza Episcopale Calabra per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso dove ha parlato delle abolizioni delle reciproche scomuniche tra Roma e Costantinopoli nel 1965, di cui ricorre quest’anno il 50° anniversario.

Domenica 25 con inizio alle ore 10,00 ha assistito alla celebrazione della Divina Liturgia presieduta da mons. Oliverio nella Cattedrale di Lungro. recitando, quale espressione di fede comune, il Credo in greco, in rappresentanza di tutto il popolo di Dio e il Padre Nostro la preghiera di tutti i cristiani.

Nel pomeriggio si è recato a Frascineto (CS) e nel suo discorso conclusivo pronunciato nella chiesa colma di fedeli gioiosi, il Metropolita  Elpidophoros ha detto che per lui è stato come se, dopo molti anni, avesse ritrovato dei fratelli di cui non conosceva l’esistenza constatando sorprendenti rassomiglianze.

Più volte e in varie occasioni mons. Elpidophoros Lambriniadis ha messo in risalto l’importanza e l’attenzione che il patriarcato di Costantinopoli riserva alla Chiesa bizantina italo greca degli albanesi presenti nell’Italia meridionale. Essa, ha detto mons. Elpidophoros, è “una risorsa ed un ponte fra le due Chiese Sorelle di oriente e occidente, per il raggiungimento della piena comunione”. Questo fondamentale messaggio è stato riferito da Virgilio Avato, in qualità di traduttore e coordinatore del Convegno Ecumenico di Catanzaro.

La chiesa bizantina nell’Italia meridionale non può considerarsi, in senso dispregiativo, “uniata” perché ha conservato nei secoli, finché ha potuto, la sua comunione con Costantinopoli sua chiesa madre, finché ha trovato felicemente la sua paternità nella Chiesa di Roma.

Il Metropolita ha accettato ufficialmente l’impegno di riferire al Patriarca Ecumenico Bartolomeo, della calorosa accoglienza e dell’immutato amore dei greco-albanesi verso la Sua persona, congiuntamente all’augurio che le due Chiese giungano alla piena e visibile comunione.

Mons. Elpidophoros ha anche assicurato che chiederà al Patriarca Ecumenico di visitare la Diocesi di Lungro affinché possa rendersi conto direttamente di questo profondo legame che unisce le due chiese.

Antonio Calisi

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VIDEO: Catanzaro, III Convegno Regionale Ecumenico sul tema “L’incontro e il dialogo, della carità e della verità, tra cattolici e ortodossi nella vita quotidiana” 24 Ottobre 2015

1653777_509415412568980_4790680280353171485_nSabato, 24 Ottobre 2015, alle ore 16, a Catanzaro presso il Pontificio Seminario Teologico “San Pio X”, si svolto il III Convegno Regionale Ecumenico (il primo si è tenuto nel 2013 a Rende e il secondo nel 2014 nella Diocesi di Lamezia Terme). sul tema “L’incontro e il dialogo, della carità e della verità, tra cattolici e ortodossi, nella vita quotidiana”, organizzato dalla Conferenza Episcopale Calabra, Commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso.
Un’occasione di importante riflessione ecumenica nel cammino verso l’unità dei cristiani. Il convegno regionale è iniziato con i saluti di S.E. Mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo Metropolita di Catanzaro – Squillace e Presidente della Conferenza Episcopale Calabra e introdotto da S.E. Mons. Donato Oliverio, Vescovo di Lungro degli Italo Albanesi dell’Italia Continentale e Presidente della Commissione per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso della Conferenza Episcopale Calabra. A relazionare sono stati per la Chiesa ortodossa, il prof. Elpidophoros Lambriniadis, Metropolita di Bursa, Igumeno del Monastero Patriarcale e Stavropigiaco Santa Trinità di Chalki e per la Chiesa cattolica il prof. Riccardo Burigana, Direttore del Centro Studi per l’Ecumenismo di Venezia. I lavori sono stati diretti dall’ecumenista Virgilio Avato.
12039522_509427005901154_7763756188472308459_nSua Eminenza il Metropolita Elpidhophoros è figura di grande importanza nel Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli e giunge in Calabria con la benedizione di Sua Santità il Patriarca Bartolomeo.
Papa Francesco, nella visita resa al Patriarca Bartolomeo, in occasione della festa di Sant’Andrea apostolo, il 30 novembre 2014, si è così espresso: «Incontrarci, guardare il volto l’uno dell’altro, scambiare l’abbraccio di pace, pregare l’uno per l’altro sono dimensioni essenziali di quel cammino verso il ristabilimento della piena comunione alla quale tendiamo».
È significativo che la Chiesa calabrese sia in armonia e si muova in tal senso, grazie alla presenza dell’Eparchia di Lungro, che le permette un pieno respiro a due polmoni tra la chiesa d’oriente e la chiesa d’occidente e muova i passi verso la speranza di una possibile unità visibile dei cristiani a compimento della parola del Signore Gesù Cristo: «…che siano uno!».

Antonio Calisi

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[VIDEO] Arbëreshë a Paolo Albanese PZ (18 ottobre 2015)

Si è celebrata la I assemblea Generale delle Comunità Arberëshë d’Italia il 17 e il 18 ottobre presso il Centro culturale Banxhurna a San Paolo Abanese (PZ). Il progetto è nato da un’intuizione dell’Assessore regionale Aldo Berlinguer, discussa con il Presidente del programma Sensi Contemporanei, Alberto Versace, sviluppata con i Sindaci dei comuni Arberëshë di San Paolo Albanese e San Costantino Albanese. Le comunità Arberëshe lucane hanno espresso l’esigenza di avviare una riflessione allargata a tutte le comunità Arberëshe presenti in Italia, sul ruolo che esse possono assumere a partire dal loro senso di appartenenza, per promuovere una cittadinanza europea attiva. L’incontro ha previsto momenti di approfondimento sul significato di essere Arberëshe oggi e sui valori identitari da preservare e valorizzare a beneficio delle future generazioni. Oggetto del dibattito anche l’attuale processo di integrazione comunitaria che prevede, tra le altre cose, l’adesione dell’Albania e che sollecita a rinnovati rapporti con il nostro Paese. Il programma ha previsto la presenza di figure istituzionali, politiche, intellettuali e religiose per approfondire le tematiche storiche, culturali, linguistiche e religiose. Tra i partecipanti Luigi Berlinguer, già Ministro dell’Istruzione, promotore della legge sulle minoranze linguistiche, l’ambasciatore di Albania in Italia Neritan Ceka, Papàs Pietro Lanza, Vicario Generale dell’Eparchia di Lungro, Alberto Versace, Presidente del Comitato di Coordinamento Sensi Contemporanei, Patrizia Minardi, Dirigente della Regione Basilicata, Giampiero Perri, Direttore Generale dell’APT Basilicata, Ferdinando Mirizzi, UNIBAD, Dipartimento Scienze Umane, Nicola Scaldaferri, UNIMI, Dipartimento di beni culturali e ambientali. Significativo l’intervento di papàs Pietro Lanza che ha sottolineato il ruolo della Chiesa cattolica di rito bizantino nel difendere e promuovere la cultura e l’identità Arberëshe per oltre 500 anni, grazie soprattutto alla sua fede cristiana che attraverso la liturgia ha mantenuto la lingua e le tradizioni.

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La chiesa immagine del mondo celeste

“E così anche tutto il mondo degli esseri, venuto da Dio quanto alla creazione… è come un’altra chiesa non fatta da mano d’uomo, si rivela sapientemente per mezzo di questa – prodotta dall’uomo -, e avendo come santuario il mondo superiore, assegnato alle potenze superne, e come tempio il mondo di quaggiù, assegnato a coloro che hanno ottenuto in sorte il vivere soggetto alle sensazioni.”

Con queste parole san Massimo il Confessore descrive la chiesa come il luogo in cui dimora Dio, gloriosa visione dei cieli, rappresentazione del paradiso in terra, dove la navata simboleggia la nave come mezzo di salvezza (Arca di Noè ), mentre il santuario è quella del cielo.

L’edificio della Chiesa è diviso in tre parti principali: il nartece, la navata e il santuario.

Il nartece, costituito dall’ingresso posto all’estremità occidentale della navata, è la connessione tra la Chiesa e il mondo esterno e per questo motivo i catecumeni, penitenti e i non cristiani devono stare qui. Tradizionalmente il nartece faceva parte dell’edificio della chiesa, ma non era considerato parte della chiesa propriamente detta. Lo scopo del nartece era quello di consentire a coloro che non potevano essere ammessi nell’assemblea, di ascoltare e partecipare alla liturgia. Il nartece includeva spesso un fonte battesimale in modo che i bambini o gli adulti potessero essere battezzati lì prima di entrare nella navata e per ricordare ai credenti il loro battesimo.

La navata è il corpo principale della chiesa dove i fedeli stanno in piedi durante le liturgie. Nella maggior parte delle chiese orientali tradizionali non ci sono sedili o banchi come in Occidente, ma delle sedute con braccioli alti da essere usati come supporto stando in piedi, lungo le pareti.

In alcune chiese più tradizionali, soprattutto in Grecia, si trova uno speciale lampadario noto come polyeleos. Questo lampadario è solitamente adornato con candele e icone.

Le pareti sono normalmente ricoperte sino al soffitto con icone o dipinti murali con storie della Bibbia e scene delle vite di santi.

Sopra la navata nella cupola della chiesa si trova l’icona di Cristo l’Onnipotente (Παντοκρατωρ/Pantokrator, “Sovrano di tutti”). Direttamente sotto la cupola (nelle chiese più tradizionali) c’è solitamente una specie di lampadario circolare con raffigurazioni di santi e apostoli, chiamato horos , che è lo stesso polyeleos menzionato sopra.

La navata di una chiesa orientale può variare in forma e dimensione secondo le varie tradizioni all’interno della Chiesa. La pianta cruciforme è la più antica e di origine bizantina.

L’iconostasi, chiamata anche τεμπλον/templon, è una parete tra la navata e il santuario, coperto di icone. Normalmente ci saranno tre porte, una al centro e una su entrambi i lati. Quella centrale è tradizionalmente chiamata la Porta Bella ed è utilizzata solo dal clero. Ci sono momenti in cui questa porta viene chiusa durante il servizio liturgico e viene dispiegato un velo. Le porte su entrambi i lati sono chiamate Porte diaconali poiché spesso hanno raffigurati i santi diaconi o gli Arcangeli Michele e Gabriele servitori di Dio. Queste porte sono usate dai diaconi e dai servitori per entrare ed uscire dal santuario.

A destra della Porta Bella c’è l’icona di Cristo, poi l’icona di San Giovanni Battista; a sinistra l’icona della Theotokos , sempre raffigurata con in braccio Cristo; e poi l’icona del santo a cui è dedicata la chiesa (cioè il patrono). Ci sono spesso altre icone sull’iconostasi, ma queste variano da chiesa a chiesa.

L’area dietro l’iconostasi è il santuario. All’interno di quest’area si trova l’altare, l’abside con il trono per il vescovo e ai lati il synthronos, o sedili per i sacerdoti; l’altare della Protesi sul lato nord dove le offerte del pane e del vino vengono preparati nel rito della Proskomedia prima di essere portate all’altare e conservati i vasi sacri e il Diaconicon sul lato sud dove sono conservati i paramenti.

Gli altari bizantini sono quadrati. Tradizionalmente sono rivestiti di tessuti broccati che arrivano fino al pavimento. Saltuariamente sono sormontati dal ciborio. Tutti gli altari orientali hanno incastonate al loro interno le reliquie di un santo, solitamente quella di un martire, deposte al momento della consacrazione. Sulla mensa dell’altare al centro verso la parte posteriore c’è un contenitore decorato solitamente chiamato tabernacolo dove sono conservati gli elementi eucaristici riservati per la comunione dei malati. Ha spesso la forma di un modellino di un edificio ecclesiastico. Di fronte a questo è posto il libro dei Vangeli , che di solito ha una copertina in metallo decorato. Sotto il Vangelo c’è un pezzo di stoffa piegato chiamato eiliton. Piegato all’interno dell’eiliton c’è l’antimension, che è un panno di seta su cui è impressa la rappresentazione della sepoltura di Cristo, con delle reliquie cucite al suo interno. Entrambi questi teli vengono spiegati prima che le offerte vengano poste sulla tavola dell’altare. Dietro l’altare si trova un candelabro a sette bracci, che ricorda il candelabro a sette bracci del Tabernacolo dell’Antico Tempio di Gerusalemme. Dietro questa c’è una croce processionale dorata. Ai lati della croce ci sono ventagli liturgici (in greco: ripidia o hexapteryga) che rappresentano i Serafini a sei ali. Dietro l’altare c’è una grande rappresentazione iconografica della crocifissione di Cristo che viene rimossa durante i 50 giorni seguenti la Pasqua.

Tradizionalmente, nel santuario non sono ammessi prodotti animali diversi dalla lana e dalla cera d’api. In teoria, questo divieto riguarda la pelle (sotto forma di libri rilegati e scarpe), ma oggi non è sempre applicato. È vietato introdurre denaro e gioielli personali, come anelli e orecchini. Nessuno può entrare nell’altare senza la benedizione del sacerdote o del vescovo.

Questo perché entrando nel santuario si entra nel cielo stesso, e assieme alle potenze incorporee, il sacerdote celebra i divini misteri, come dice Giovanni Crisostomo “Bisogna perciò che il sacerdote sia così puro come si dimorasse nei cieli tra quelle potenze”.

La magnanimità di Dio ospita ciascun credente a sedersi alla mensa della Vita eterna e invita il celebrante ad entrare nel Santo dei santi e a riverire l’altare immateriale e sovraceleste (ὑπερουράνιον), nondimeno, la sua anima, santa e pura, non ardisce avvicinarsi al trono di Dio senza timore:

Dice Atanasio il Grande: «”Godendo della tua filantropia e difesa dalla tua destra, ti offro l’incessante adorazione nel tempio consacrato alla tua gloria”, dice l’anima santa e monda. “Portando sempre con me il tuo timore, non accetterò di perderlo, poiché confido nel tuo amore per gli uomini”».

Nel mezzo del santuario c’è l’altare, il punto in cui viene officiato il mistero della divina eucaristia e che il Signore affida alle potenze celesti affinché lo custodiscano puro e santo.

Nel Prato spirituale di Giovanni Mosco è riportato «Un racconto di Abba Leonzio…: “Una domenica scesi in chiesa a prendere la comunione. Appena entrato, vidi un angelo fermo alla destra dell’altare. In preda a grande terrore, si ritirai nella mia cella. Mi giunse allora una voce che diceva: “Ho avuto l’ordine di stare vicino a questo altare da quando è stato consacrato”».

L’altare è la “frontiera fra cielo e terra” dice Germano di Costantinopoli, il “Trono di gloria, dimora di Dio… Laboratorio… dei doni dello Spirito” continua Simeone di Tessalonica, la fonte del paradiso che spande il dono della carità del Signore. Così parla Giovanni Crisostomo: “Davvero tremendi i misteri della chiesa, davvero tremendo l’altare! Dal paradiso sgorgava una fonte che emetteva fiumi sensibili. Ma questa mensa ne zampilla una che spande fiumi spirituali. Accanto a tale fonte sono piantati non salici infruttuosi, ma alberi che arrivano al cielo stesso, che hanno un frutto sempre maturo e immarcescibile”. San Gregorio Palamas scrive: “Da questa sacra mensa… sale una fonte che emetta zampilli intellegibili, disseta le anime e le innalza fino ai cieli”.

Nel corso della divina liturgia il sacerdote prendere atto che “questa mensa e piena di fuoco spirituale; come le sorgenti spendono acqua naturale, così essa possiede una fiamma ineffabile”, dice Giovanni Crisostomo. Fiamma che irrora i santi misteri di Cristo.

San Nicola Cabasilas riferisce che, nella cena dei misteri, la mano pura del sovrano Cristo è diventata altare terribile e sovraceleste. Nella divina liturgia, quando noi credenti ci disponiamo a fare la comunione, ci avviciniamo, come i Dodici, alla mano incontaminata di Cristo: “Gli altari poi rappresentano la mano del Salvatore: dalla mensa consacrata per mezzo dell’unzione riceviamo il pane, come ricevendo il corpo di Cristo dalla sua stessa mano immacolata; e beviamo il suo sangue come quei primi che il Signore mise a parte del suo sacro convivio, porgendo la coppa tremenda dell’amore. Egli è insieme sacerdote e altare, vittima e offerente, ministro e offerta”.

Ogni qualvolta si celebra l’oblazione incruenta la mano santissima di Cristo si protende verso gli uomini e la nostra chiesa ci invita tutti a correre alla sorgente della vita, così come dice Ignazio di Antiochia: “Tutti correte insieme come ad un solo tempio di Dio, come un solo altare, al solo Gesù Cristo”.

diac. Antonio Calisi


Il sacerdozio al servizio del sacro

Il sacrificio eucaristico è opera di Cristo sommo sacerdote, è lui la mano di Dio Padre a cui il celebrante implora la sua presenza, infatti, così afferma san Metodio di Olimpo: “Il Figlio è l’onnipotente e forte mano del Padre”, perché nella divina liturgia eucaristica è sempre presente Cristo, “Non è un uomo colui che trasforma i doni che si trovano in innanzi a noi in corpo e sangue di Cristo, ma è lo stesso Cristo che è stato Crocifisso per noi”. “Il sacerdote è lì come sembianza visibile (di Cristo), per preferire le parole”, dice san Giovanni Crisostomo.

Il sacerdote dinanzi al santo altare è immagine vivente di Cristo: “Ti è toccato di essere sulla terra l’immagine di Dio”, scrive san Massimo il Confessore al vescovo Giovanni. Nella divina liturgia, dice il Crisostomo ,”a compiere tutto è il Padre, il Figlio è lo Spirito santo; ma il sacerdote presta la propria lingua e offre la propria mano”. Secondo san Nicola Cabasilas, “è la grazia che opera tutto. Il sacerdote è soltanto un servitore… Il sacerdozio non è altro che questo: il potere di servire il sacro”.

Gesù è venuto nel mondo per servire l’uomo: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve (ho diakonòn)” (Lc 22, 27) Egli è tra noi come colui che serve: “Ed ecco il colmo: il Cristo serve, non solo nel tempo presente, quando apparve rivestito dell’umana debolezza…, ma egli serve anche nel secolo futuro, allorché verrà con potenza e apparirà nella gloria del Padre. Anche allora, alla sua manifestazione gloriosa, nel suo regno egli si cingerà, gli farà mettere a mensa e andrà a servirli (Lc 12,37)”, dice ancora Cabasilas, e la sua diakonìa prosegue e si estende incessantemente nella celebrazione eucaristica. Per questa ragione la preghiera detta dal celebrante nella divina liturgia è chiamata ministero –  diakonìa – di Cristo.

Facendo riferimento ad un manoscritto del XIII secolo, custodito a Patmos, il sacerdote “prende tempo” recitando, dopo aver baciato le sante icone, la seguente preghiera:

“O Dio, o Dio nostro, tu che sei invisibile ai Cherubini, inconoscibile per i Serafini e inaccessibile a tutte le potenze celesti, tu che nel tuo ineffabile amore per l’uomo e nella tua bontà imperscrutabile hai unito te stesso alla nostra povertà e umiltà e hai dato la norma del sacerdozio a noi, tuoi servi peccatori ed indegni: tu stesso, buono e misericordioso qual sei, sostienimi, o mio salvatore filantropo, mentre mi accingo al ministero della grazia divina che mi è stato affidato. Mi accosto, infatti, al tremendo e terribile servizio del santo tuo altare non confidando nella mia forza o nella mia purezza, ma nel mare infinito della tua misericordia. I miei peccati, infatti, non riusciranno a superare la moltitudine delle tue compassioni. Perciò ti prego, Sovrano filantropo, rivesti il tuo servo indegno della veste e grazia sacerdotale del tuo divino e santissimo Spirito. Illumina gli occhi della mia mente perché io contempli lo splendore della tua grazia, rendi chiara la mia lingua perché irreprensibilmente ti esalti, mantieni concentrato il mio intelletto, fa’ che la mia mente non si distragga e custodiscimi interamente nella tua santità, esaudisci le richieste che levo a te, santo Signore, accogli il mio sacrificio come incenso immacolato e olocausto divino, e concedimi la dolcezza della tua bontà. Invia dall’alto un angelo di luce che concelebri con me e mi sostenga, affinché, dopo aver insegnato rettamente la parola della tua vera sapienza, diventi anche degno della comunione ai tuoi celesti mortali misteri, e illuminato grazie ad essi nell’anima nel corpo, meriti altresì il godimento dei tuoi beni eterni assieme a coloro che davvero hanno amato e seguito i tuoi precetti. Tu infatti hai detto, o Sovrano, che quanto è chiesto nel tuo nome viene immancabilmente ottenuto dal tuo coeterno Padre e Dio. Perciò anch’io, peccatore, nel rivestirmi degli abiti sacerdotali supplico la tua divinità: concedimi, Signore, per la mia salvezza, ciò che nella preghiera ti ho domandato”.

diac. Antonio Calisi


Pregare con gli occhi: la contemplazione delle icone

Prima di iniziare la divina liturgia, il presbitero, il diacono e i fedeli che entrano in chiesa, venerano le immagini del Signore Gesù Cristo, della Santissima Madre di Dio, del precursore Giovanni Battista e di tutti i santi, perché esse presentano alla nostra mente tutta l’economia della salvezza divina: “L’immagine infatti è una memoria. Ciò che è il libro (NdR la Sacra Scrittura) per coloro che conoscono la scrittura, questo è l’immagine per gli illetterati, e ciò che è la parola per l’udito, questo anche è l’immagine per la vista”. Per questa ragione non esistono chiese bizantine senza icone, indispensabili per celebrare la divina liturgia.

Nel kontàkion della domenica dell’Ortodossia si canta che la prima icona del Signore si è rivelata con la sua incarnazione e la prima iconografa è stata la Madre di Dio: “L’incircoscrivibile Verbo del Padre, incarnandosi da te, Madre di Dio, è stato circoscritto e, riportata l’antica forma l’immagine – l’icona – deturpata, l’ha fusa con la divina bellezza. Noi dunque, proclamando la salvezza, a fatti (NdR ossia con la raffigurazione delle icone) e a parole vogliamo descriverla”.

La lettura del Vangelo e le icone, il Vangelo dipinto, ci aiutano a vivere il mistero della salvezza dell’uomo che celebriamo nella divina liturgia e ci accompagnano nel Regno dei cieli fin d’ora presente: “Mentre l’occhio sensibile fissa l’icona, concentro l’occhio spirituale dell’anima – assieme all’intelletto – sul mistero dell’economia dell’incarnazione”. Attraverso le sante icone guardiamo e ascoltiamo il Signore Gesù, la Madre di Dio e i santi che, come da delle finestre, si affacciano dal paradiso per comunicare con loro: “Con gli occhi corporei gli apostoli videro il Signore, altri videro gli apostoli e altri i martiri. Anch’io desidero di vederli con l’anima e con il corpo… Io, poiché sono un uomo e sono rivestito di corpo, desidero anche con il corpo di entrare in dialogo con le cose sante e di vederle”.

Le icone ci stimolano a lodare Dio: “Soffocato dai pensieri come da spine mi reco nel comune luogo di cura delle anime, nella chiesa: lo splendore della pittura mi attira guardare, come un prato essa mi rallegra la vista e insensibilmente infonde nell’anima la gloria di Dio. Io contemplo la fermezza del martire ed il premio delle corone, sono spinto all’emulazione da un sentimento ardente come fuoco, prostrandomi a terra presto venerazione a Dio attraverso il martire e ricevo salvezza”.

In questo modo insegna il nostro santo padre Teodoro lo Studita: “Imprimi Cristo […] nel tuo cuore, là dove egli [già] abita; sia che tu legga un libro su di lui o che tu veda in immagine, possa egli illuminare il tuo pensiero mentre tu lo conosci doppiamente sulle due vie della percezione sensibile. Così tu vedrai con gli occhi ciò che tu hai appreso mediante la parola. L’intero essere di colui che ode e vede in questo modo sarà riempito della lode di Dio”[1].

[1] TEODORO LO STUDITA, Epistolarum, XXXVI; PG 99, 1213, cit. in TEODORO LO STUDITA, Antirrheticus Adversus Iconomacho. Confutazioni contro gli avversari delle sante icone, Traduzione, introduzione e note a cura di Antonio Calisi, Independently published 2019, p. 45.

diac. Antonio Calisi


Glorificate Dio nel vostro corpo: il segno della croce, le metanie e il digiuno eucaristico

Quanto abbiamo presentato riguardo alla preparazione che il celebrante compie prima della divina liturgia nello spirito e nel corpo, ugualmente deve essere fatta da ogni fedele che si comunicherà all’altare della Vita. Il corpo come l’anima, si disporrà per presentare l’offerta eucaristica e si preparerà per ospitare in sé il graditissimo visitatore, Cristo Gesù. Il corpo, dunque non è passivo nella Divina liturgia, ma vi prende parte attivamente.

L’apostolo Paolo ci spiega che il corpo è tempio dello Spirito Santo e partecipa nella lode a Dio: “Glorificate Dio nel vostro corpo e nel vostro spirito che sono di Dio” (1Cor 6,20). In effetti nella divina liturgia il corpo del fedele diviene lo spazio in cui è celebrato il Signore, sia con l’immobilità o con il silenzio e sia con azioni e parole.

Il credente, tracciando su di sé il segno della croce, proclama la vittoria di Cristo sulla morte e sul demonio. La croce, scrive San Giovanni Crisostomo “è divenuta per molti fondamento di grande benedizione e muro di sicurezza di ogni specie, colpo mortale inferto al diavolo… La croce ha annientato la morte… e ha liberato l’ecumene intera soggetta alla condanna”. Essa “ha aperto le porte del cielo, reso amici coloro che si odiavano, riportato l’uomo in cielo, collocato la natura umana alla destra del trono celeste”.

Con la croce ci è stato rivelato l’amore del Dio Trino: “Croce è la volontà del Padre, la gloria del Figlio, l’esultanza dello Spirito”. E prosegue: “Croce è l’ornamento degli angeli, la sicurezza della chiesa, il vanto di Paolo, il baluardo dei santi, la luce dell’ecumene tutta”. Per tale ragione “tutti fanno in continuazione il segno di croce sulla parte più nobile del corpo e lo portano quotidianamente con sé impresso sulla fronte come su una colonna”.

Aggiunge san Simeone il Nuovo Teologo: “I cristiani che credono in Cristo si segnano con il segno della croce, non semplicemente e come capita, con noncuranza, ma con ogni attenzione, consapevolezza, timore, tremore, e con ogni possibile devozione… Perché in base alla devozione che si ha per la croce si ricevono, in proporzione, forza e aiuto da Dio, cui spettano gloria e potenza nei secoli. Amen”.

Le metanie sono di due generi: le piccole e le grandi. Con le piccole, facendo il segno della croce, ci inchiniamo davanti al Signore, alla Madre di Dio e ai santi, mentre con le grandi ci prostriamo sino a terra adorando la bellezza del Creatore. L’evangelista Giovanni, rappresentando nell’Apocalisse la liturgia del Regno celeste, sottolinea che, quando l’Agnello, ossia Cristo, prese il libro chiuso con sette sigilli, “i quattro esseri viventi e i ventiquattro vegliardi si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno un’arpa e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi. Cantavano un canto nuovo” (Ap 5,8-9). I quattro esseri viventi rappresentano il mondo degli angeli, mentre i vegliardi la chiesa trionfante. Simultaneamente, con gli angeli e con i santi, noi credenti sulla terra prostrati adoriamo l’Agnello il quale con la sua morte ci ha elevati fino al trono di Dio.

Il corpo collabora nell’adorazione di Dio come insegna san Gregorio Palamas replicando all’eretico Barlaam che pensava che le azioni comuni dell’anima e del corpo sono un intralcio alla preghiera: “Si potrebbe in quel caso dire all’individuo che sostiene tali argomenti che chi coltiva la preghiera del cuore non dovrebbe digiunare, vegliare, genuflettersi, dormire per terra, ostinarsi a restare in piedi”. Senonché, assicura Gregorio, “quando ci consacriamo all’orazione, abbiamo comunque bisogno del patimento fisico prodotto dal digiuno, dalla veglia ed altre simile pratiche”.

Il digiuno è la base e la preparazione di ogni sforzo spirituale, è supporto alla preghiera perché la nostra anima è direttamente collegata al nostro corpo. L’anima ha bisogno di allenamento e questo gli viene data dal digiuno perché un corpo controllato ci permette di concentrarci sulla preghiera.

Il digiuno è importante per la celebrazione eucaristica, perché se fatto regolarmente, riempie i nostri cuori, le nostre menti e le nostre energie spirituali e ci rende più attivi. Il digiuno fatto da Mosè sul monte Sinai (Es 34,28) e quello di Elia sul monte Oreb (1Re 19, 8-12), è collegato in entrambi i casi a una Teofania. Lo stesso nesso esiste tra il digiuno e la visione di Dio nel caso di san Pietro (cf. At 10, 9-17), quando salì sul tetto per pregare alla sesta ora, molto affamato, e in quello stato fu rapito in estasi e udì la voce divina.

Poiché il Corpo e il Sangue del Signore sono il nostro primo cibo e bevanda, è molto importante che nel giorno della comunione ci asteniamo da ogni alimento e bevanda dalla sera precedente.

diac. Antonio Calisi