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Dalla matita allo scalpello: ecco l’arte di Gianni Gioia

    di Nicola Arcieri      da www.slowtimemagazine.net
 
   
     Frascineto (CS) ‘ Un leggio ligneo «lavorato completamente a mano con decorazioni in oro 22 carati» è la 16ma opera del maestro Gianni Gioia. E dal prossimo 24 dicembre andrà ad arricchire l’arredo sacro della chiesa di San Basilio (a Eianina).
Commissionato sette mesi fa dal neo parroco, papas Domenico Randelli, per la sua piccola comunità di fedeli italo-albanesi, questo manufatto di legno di tiglio ha richiesto l’impegno costante e «nei ritagli di tempo» dell’artigiano conosciuto soprattutto per le sue celebri iconostasi.
Gianni Gioia, infatti, è, a pieno titolo, da un quindicennio un punto di riferimento indiscusso per l’arte sacra bizantina dell’intera Penisola.
     Addirittura, nell’ambiente universitario romano, sarebbe considerato l’innovatore dello stile bizantino italiano «per la sobrietà delle sue opere e per il particolare effetto tessuto delle sue punzonature» a fil di legno. Per applicare l’oro al legno ha usato una tecnica nuovissima, «appresa recentemente da Luigi Manes, artista lungrese di icone bizantine». E fa strano sentirlo parlare con la passione e la perizia del vero esperto di cose d’arte, lui che in tasca porta solo un diploma di terza media preso ai corsi serali: «Innanzitutto va precisato che non si può applicare la foglia d’oro direttamente sul legno crudo. Il legno ‘ parte con la minuziosa spiegazione ‘ andrebbe trattato con gesso di Bologna, passandovi sopra due o tre mani di colla di coniglio, poi si applica una rete, quindi altri passaggi di gesso e un prodotto rosso che si chiama bolo. Solo alla fine, dopo l’ultima mano, viene passato l’oro sopra. In questo modo, però, io vado a coprire il legno con il gesso. E questo a me non piace>>. E allora ecco pronta la sua variante: «Ho applicato l’oro direttamente sul legno. Ma per riuscirci mi sono dovuto inventare una colla tutta mia». Lasciando di stucco lo stesso Manes.
     Nella bottega dove lavora, oltre ad assi di legno e a lavori in dirittura d’arrivo, scoviamo, qua e là, abbozzi a matita. «Parto da un’idea ‘ ci svela ‘ la metto su carta, facendo degli schizzi. E poi passo alla realizzazione vera e propria». Dalla matita allo scalpello, senza intermediari tecnologici. Lavora con la diocesi di Lungro, con i parroci. Ma anche con i comuni. «Insieme con loro decido come dev’essere fatto quello che mi chiedono: la forma, le dimensioni. Poi mi chiedono un abbozzo, che io disegno e glielo consegno. Questo può essere modificato e/o integrato e io vado avanti sulla base del disegno. Può capitare che, in corso d’opera, abbia qualche dubbio e allora mi rivolgo a chi ha competenze specifiche in fatto di liturgia o di storia dell’arte». «La parte puramente tecnica e la realizzazione materiale è, però, di mia unica competenza», ribadisce con decisione.
Ha iniziato quindici anni fa, Gianni Gioia. Prima era un falegname come tanti. L’occasione si presentò con la tragica morte di un ragazzo della zona. «I genitori mi chiesero di costruire qualcosa di semplice che lo ricordasse e che avrebbero poi donato alla chiesa di San Basilio. Allora il parroco era papas Emanuele Giordano. Decisi, invece, che andava fatto qualcosa di bello. Decisi per un fonte battesimale in legno. La cosa è piaciuta. Ed è andata avanti così».
Da allora ha fatto tante altre opere: tabernacoli, troni, leggii, portoni. E, soprattutto, iconostasi. Ovvero la parete che divide la zona dell’altare da quella dei fedeli e che rappresenta l’elemento d’arredo principale delle chiese di rito bizantino, di cui la provincia di Cosenza è particolarmente ricca grazie alla presenza secolare della comunità italo-albanese e al presidio religioso dell’eparchia di Lungro.
     Quando tutto ormai è riprodotto in serie e importato dai mercati di mezzo mondo, c’è ancora qualcuno che usa le mani alla ricerca del bello. Intarsi di croci bizantine, spighe di grano, gigli, capitelli ionici, sono solo una piccola parte di ciò che esce ‘ lentamente, a tempo debito ‘ da quella piccola bottega di un vicolo di Frascineto.

1° Gennaio: Circoncisione di Gesù e San Basilio il Grande

       del Diac. Francesco Godino
 
Sinassario: Gennaio, mese di 31 giorni.
Il 1 di questo stesso mese, festeggiamo la Circoncisione se­condo la carne del Signore, Dio e Salvatore nostro Gesú Cristo.
Lo stesso giorno, memoria del nostro santo padre Basilio il grande, arcivescovo di Cesarea di Cappadocia.
 
 
Exapostilàrion dell’Orthros
     Colui che dà compimento alla Legge viene circon­ci­so nella carne come bambino di otto giorni, lui che è il Creatore dei secoli; ed è avvolto in fasce come un mor­tale, è nutrito con latte, lui che come Dio, tiene l’universo in suo potere con immensa forza, e col suo cenno lo go­verna.
 
     La Circoncisione secondo la carne di Gesù è un evento narrato dal Vangelo secondo Luca (2,21): otto giorni dopo la sua nascita, Gesù venne circonciso secondo la prassi ebraica della Milàh. L’evento viene ricordato dalla Chiesa Orientale con la corrispondente festa liturgica celebrata il 1º gennaio del calendario giuliano, corrispondente al 14 gennaio dell’universale calendario gregoriano. La Festa della Circoncisione secondo la carne di Nostro Signore è una celebrazione religiosa nell’ottavo giorno dopo la nascita di Gesù. È osservato il giorno in cui Gesù fu circonciso, come da tradizione ebraica, e in cui ricevette il nome di ‘Gesù’ che deriva dalla lingua ebraica e significa ‘salvezza’ o ‘salvatore’.Questa è una festa che celebra non soltanto Gesù, il ‘Donatore della Torah’  ma fu anche la prima volta che Egli donò il sangue per l’umanità. Tutto ciò dimostra non soltanto l’obbedienza di Gesù a Dio ma anche la futura e gloriosa sua Risurrezione. Il giorno di festa è celebrato dalla Chiesa ortodossa, dalla Chiesa cattolica e da alcune chiese anglicane il 1º gennaio (o il 14 gennaio, che corrisponde al 1º gennaio del tradizionale Calendario Giuliano per coloro che continuano a usarlo). Anche le Chiese ortodosse orientali celebrano questa festa il 1º gennaio o del Calendario Gregoriano o del Calendario Giuliano, a seconda di quale venga utilizzato in ogni chiesa. In Russia, il giorno della Circoncisione (14 gennaio secondo il Calendario Gregoriano nei secoli XX e XXI) è conosciuto come il ‘Nuovo Vecchio Anno’, perché prima del 1918 era il giorno di Capodanno. La festa è celebrata con una veglia notturna (pannychida) e i festeggiamenti sono combinati con quelli per San Basilio Magno, cosi come avviene per noi. Dopo la liturgia, i russi ortodossi spesso celebrano il nuovo anno. La Festa della Circoncisione era precedentemente celebrata dalla Chiesa cattolica come festa di precetto.I cattolici ancora celebrano la festa sotto questo nome ma molti, con la riforma portata dal Concilio Vaticano II, festeggiano il 1º gennaio la Solennità di Maria, la Madre di Dio, pur rimanendo festa di precetto.
 
 
Basilio il Grande
(Cesarea di Cappadocia 329 ca. – 379), padre e dottore della Chiesa, paradigma del monachesimo orientale, santo.
 
     Nato da una famiglia agiata dal lato economico, e ricchissima sul versante culturale, spirituale e propriamente cristiano. Basilio respirò fin dalla più tenera età il pensare, l’agire e tutti i valori legati alla religione cristiana, valori vissuti anche a costo di sacrifici. La sua famiglia era intrisa di santità: suo nonno morì martire nella persecuzione di Diocleziano e sua nonna, Santa Macrina, fu discepola di San Gregorio Taumaturgo nel Ponto. Santi furono i suoi genitori Basilio ed Eumelia, che ebbero  oltre a Basilio altri cinque figli tra cui San Gregorio, poi vescovo di Nissa, e San Pietro, vescovo di Sebaste, e cinque figlie. La primogenita, Santa Macrina, omonima della nonna, visse nella sua proprietà di Annesi che aveva trasformata in monastero. Il padre di Basilio, che pare si fosse trasferito a Neocesarea, fu primo maestro del figlio, che continuò poi i suoi studi  ad Atene e Costantinopoli, dove conobbe Gregorio Nazianzeno, al quale fu legato da profonda amicizia. Attirato dall’ideale monastico, viaggiò molto visitando monaci ed eremiti palestinesi, egiziani e armeni. Rimase fortemente ammirato e attratto dalla loro scelta. E divenne monaco. Ma Basilio, da persona intelligente e acuta che era, notò che mancava qualcosa. Questi monaci amavano in maniera radicale Dio con tanti sacrifici; la loro vita ascetica era ineccepibile ed encomiabile. Ma l’amore del prossimo dove lo praticavano, se vivevano isolati? Basilio aveva intuito che per amare Dio non bastava solo la contemplazione, ci voleva anche l’azione fatta di istruzione ai poveri e di molteplici opere di carità, e magari anche esercitare l’amore del prossimo sopportando i propri fratelli nella vita comunitaria. Da questa sua esperienza e riflessione nacque il progetto del ‘cenobio’ (= vita in comune). Queste intuizioni sulla vita religiosa le trasmise nelle Regole: queste avranno un influsso enorme sulla Chiesa, facendo di san Basilio il padre del monachesimo dell’Oriente. Non solo: il nostro san Benedetto chiamandolo ‘il beato padre san Basilio’ ne riconobbe l’influsso su quello occidentale. Basilio abbandonò la carriera pubblica e praticò l’eremitaggio in una sua proprietà sul fiume Iris (Neocesarea); Ordinato sacerdote nel 364 diventò per un po’ di tempo collaboratore del vescovo Eusebio di Cesarea, finché alla sua morte ne raccolse l’eredità pastorale. Non era ricco di anni (ne aveva 40) ma lo era di esperienza, di cultura, di coraggio e di santità. Tutte caratteristiche che dimostrò subito. Prima di tutto nel resistere all’imperatore ariano Valente, che difendeva l’arianesimo (una eresia dirompente per il Cristianesimo). È interessante la risposta che Basilio diede al governatore Modesto: questi aveva tentato in tutti i modi di fargli sottoscrivere una dichiarazione pro ariana minacciandolo di rappresaglie, in quanto il suo atteggiamento ribelle contro l’imperatore non l’aveva mai tenuto nessuno. Basilio gli rispose: ‘Forse perché non ti sei mai imbattuto in un vescovo’. Aveva ragione. Vescovi della tempra, cultura e santità di Basilio non ce ne erano in giro. Durante l’eremitaggio, attese alla composizione di una regola monastica, che in seguito venne adottata dall’ordine monastico (soprannominato dei “monaci basiliani”) da lui fondato nel 360 ca. Alla Regola di Basilio, cardine del monachesimo orientale, obbediscono tuttora ordini sia cattolici sia ortodossi. Famoso per la sua sapienza e la santità della sua vita, fu convocato dal vescovo di Cesarea, Eusebio, per difendere la dottrina cristiana contro le dottrine eretiche degli ariani. Nel 370 divenne egli stesso vescovo di Cesarea, ufficio che mantenne fino alla morte. Morì povero, come era vissuto, nell’anno 379. Ho trovato la biografia di Basilio estremamente interessante e attuale. All’uomo contemporaneo, moderno o post-moderno che si voglia, che ha ancora il coraggio di porsi la domanda ultima ‘Che cos’è l’uomo?’ e ‘che cosa ci faccio io su questo mondo?’, sapete che cosa risponde san Basilio: ‘L’uomo è una creatura che ha ricevuto da Dio l’ordine di diventare Dio per grazia’. Cercate in tutte le filosofie e in tutti i pensatori e scrittori un obiettivo più grande e più impegnativo per l’uomo. Altro che obiettivi ‘deboli’ o a breve termine o nutriti di pessimismo e nichilismo. Basilio lega il destino dell’uomo il più alto possibile: a Dio stesso. Il motivo è molto semplice: perché Dio stesso, in Cristo, nella Incarnazione, ha voluto legare il suo destino all’uomo stesso. Non c’è niente di più grande e di più consistente e di più permanente che Dio stesso. Questo Dio, afferma ancora Basilio, deve essere sempre davanti agli occhi dell’uomo giusto. La vita del giusto infatti sarà un pensare a Dio e nello stesso tempo una lode continua a Lui. San Basilio: ‘Il pensiero di Dio una volta impresso come sigillo nella parte più nobile dell’anima, si può chiamare lode di Dio, che in ogni tempo vive nell’anima… L’uomo giusto riesce a fare tutto alla gloria di Dio, così che ogni azione, ogni parola, ogni pensiero hanno valore di lode’. Due citazioni di questo santo che ci danno subito l’idea della sua visione dell’uomo (antropologia) positiva legata saldamente al pensiero su Dio (teologia). Costruì una cittadella della sofferenza e della speranza (una specie di Cottolengo ‘ante litteram’). Il popolo la chiamò ‘Basiliade’ ovvero ‘la Città di Basilio’. E Basilio ne fu il motore intelligente e pieno di energia. Il concetto di ospedale non è moderno, non è figlio del solito illuminismo o della scienza figlia della ragione. La Basiliade era un complesso grandioso con vari reparti, secondo le diverse malattie, per evitare contagi. Particolare cura era riservata ai malati di lebbra, normalmente abbandonati anche dai parenti. Basilio era un grande organizzatore (qualcuno l’ha definito ‘l’ultimo dei Romani’). Diceva che tutti anche i malati erano chiamati a ‘diventare Dio’ per grazia… di Dio. Aveva organizzato bene anche la carità per finanziare la sua città-ospedale senza aspettare il ministero della Sanità dell’Impero Romano. E qui ritorna in ballo Giuliano al massimo della carriera: era imperatore. Questi sentendo parlare della Basiliade si infuriò con i suoi governatori perché pur essendo pieni di denaro pubblico e di ‘risorse umane’ (leggi schiavi) non erano riusciti a realizzare qualcosa di simile, a differenza di quel monaco spiantato di soldi e di schiavi ma ricco di… Provvidenza. Giuliano aveva dimenticato qualcosa o meglio Qualcuno in cui non credeva più: Dio. San Basilio non solo è un grande vescovo e santo ma è anche un Dottore della Chiesa. Scrisse anche molte opere. Ma mentre Gregorio di Nissa, suo fratello, era un vero teorico, lui era pratico, essenziale, stringato, chiaro e profondo e rigoroso nell’argomentazione. Ci ha lasciato opere di carattere teologico, esegetico (a commento della Scrittura) morale e ascetico. Ci sono rimaste anche molte sue lettere. In questi scritti Basilio si dimostra un maestro spirituale ed un padre non solo per i monaci ma per tutti i fedeli. Un concetto su cui il grande Basilio ritornava sempre era che Dio è il bene sommo ed unico dell’uomo, la felicità di questi è nel possesso di Dio. Dio è la misura del bene dell’uomo e della sua felicità. Ma per raggiungere questo è necessario ‘camminare alla presenza di Dio’ e praticare una costante ascesi o sforzo spirituale per attuare questa conformazione a Cristo, e per non ostacolare l’opera e l’illuminazione dello Spirito Santo. Anche all’uomo di oggi san Basilio propone l’immagine di un Dio non solo non invidioso dell’uomo o tiranno su di lui, ma un Dio che ha a cuore la sua grandezza e felicità. L’obiettivo di questo Dio è di ‘collaborare’ alla grandezza e alla felicità dell’uomo. Per cui l’uomo, ogni uomo, è chiamato a ‘diventare Dio per grazia’ di Dio. Ecco la sfida che, secondo san Basilio, Dio lancia all’uomo di tutti i tempi.

Calendario Bizantino-Greco e arbërisht-italiano 2011 della Parrocchia di Plataci

Kallendari Bixantin-Grek dhe arbërisht-lëtisht 2011
i famullisë së Pllatënit
 
                Duall Kallendari “Bixantin-Grek i ri, vit dimilëenjëmbëdhjetë (2011), shkruar l’tisht dhe arbërisht (gluha e Pllatënit) i famullisë së Pllatnit ç’ sivjet bën pesë vjet dhe siall gjithë ikonat ç’ù bën mbrënda ka mamëklishja e “Shënj Janjit Pagëzor”, ç’ ësht Shëjt Patruni i Pllatnit, njera sod ka mjeshtri Mihail Gabriel Tarko, nj’ikonograf rumen ç’ stisi dhe nj’ bukur ikonostas, dhe ka njetar i mirë ikonograf rumen, prof. Mircea Moldovan, ç’ shkruajti më se katërzetë ikona ç’jan ka ikonostasi. Gjithë k’to sharbisa t’ shëjt u bën se u tund zoti Ariton Ilies, prifti i Pllatënit, bashkë me besimëtarët të katundit, çë me kontributin e tira i dhën bukurin dhe nderin dhe nj’ hje e madh “shpisë së Zotit Krisht t’Inzotit”. Ka Kallendari nga vit gjëndat dhe nj’ faqe ç’ ka nj’ argoment kullturale e ka qo herë ështit shkruar, ka dhjaku K. Bellushi, storia e stisjasë së klishës.
 
                                                                                                                                                             Kostandin Bellushi
 
 
 
Calendario Bizantino-Greco e arbërisht-italiano 2011
della Parrocchia di Plataci
 
                È stato dato alle stampe il nuovo Calendario “Bizantino-Greco anno 2011”, scritto in italiano e arbërisht (lingua di Plataci), che da cinque anni viene pubblicato, e quest’anno riporta tutte le icone che sono state eseguite nella chiesa madre di “San Giovanni Battista”, Santo Patrono di Plataci, fino ad oggi dal maestro Mihail Gabriel Tarko, un iconografo rumeno che ha costruito anche una bella iconostasi, e da un altro bravo iconografo rumeno, prof. Mircea Moldovan, autore di oltre quaranta icone collocate sull’iconostasi. Tutti questi sacramentali sono stati realizzati per iniziativa del sac. di Plataci, papàs Ariton Ilies, assieme ai fedeli del paese che, con il loro contributo, hanno abbellito, onorato e dato un grande decoro alla “Casa del Signore”. Nel Calendario ogni anno c’è una pagina che riporta un argomento culturale e stavolta è stata scritta, dal diac. Costantino Bellusci, la storia della costruzione della chiesa.
                                                                                                                          Costantino Bellusci

L’icona della Natività

            di P. Gabriel Otvos
 
     L’icona della natività del Signore è una delle rappresentazioni più spesse incontrate, però non tanta conosciuta nel suo simbolismo. Bensì ci siamo prostrati molte volte dinanzi a questa meravigliosa icona , pochi conoscono il simbolismo dei personaggi dipinti sull’icona.
L’iconografia della Natività ebbe origini antichissime. Lungo i secoli e nelle varie regioni del mondo cristiano possiamo trovare i personaggi principali diversamente collocati, ma lo schema generale risulta costante: Il Bambino, la Madre di Dio, Giuseppe, la stella, gli angeli, gli animali, i pastori e i magi.
L’ispirazione di talune scene e la presenza di alcuni personaggi non trae la sua origine dai racconti evangelici, ma dagli Apocrifi. Questo perché gli Apocrifi hanno rivestito il ruolo di libri di pietà, molte volte letti e commentati anche in chiesa. Dalla lettura degli scritti di Origene e di Clemente Alessandrino si deduce il rispetto che godevano alcuni di essi.
‘Dio si è manifestato nascendo ‘ ha scritto Gregorio Nazianzeno(329-90 c.) ‘ il Verbo prende spessore, l’invisibile si lascia vedere, l’intangibile divine palpabile, l’intemporale entra nel tempo, il Figlio di Dio diviene figlio dell’uomo’.
L’evento che i patriarchi sospiravano , che i profeti predicevano e i giusti desideravano vedere è dinanzi agli occhi del fedele, il quale canta: ‘Che cosa possiamo offrirti,o Cristo, poiché ti sei mostrato sulla terra per noi cume uomo? Ognuna, infatti, delle tue creature ti porta la propria testimonianza di gratitudine : gli angeli ti offrono il canto, i cieli, la stella, ; I Magi, i loro doni; i pastori, la loro meraviglia; la terra, una grotta; il deserto, una mangiatoia. Noi invece una madre vergine ‘.
Tutto il creato è partecipe dell’evento: dalle nature angeliche agli animali, ogni cosa è al suo posto per recitare il dramma dell’Universo.
Ogni elemento che è dipinto sull’icona assume un significato , niente è superfluo.
 
A ‘ LA MONTAGNA
La scena che l’icone raffigura è inquadrata da una montagna a forma piramidale che si eleva per tutto lo spazio visivo.
E’ la montagna messianica.
La montagna del Signore, splendente, viene al mondo, oltrepassa e trascende ogni collina e ogni montagna, cioè l’altezza degli angeli e degli uomini.
La montagna è Cristo.
In primo piano rispetto alla montagna è sempre rappresentata la Madre di Dio. Questo sta significare che la montagna (la roccia bianca) è anche immagine della Vergine: ‘il monte Sion che egli ama’
 
B ‘ GLI ANGELI
Gruppi più o meno numerosi di angeli che cantano, volti al cielo e alla terra: ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama’ . Qualche volta hanno le mani velate in segno di adorazione dinanzi all’Essere Supremo.
Essi rappresentano la natura angelica accorsa ad assistere all’evento straordinario.
 
C ‘ UN ANGELO distinto dal gruppo degli angeli
Distinto dal gruppo, è intento a parlare ad uno o più pastori.
L’angelo è rassicurante:’Non temete: ecco io vi porto una lieta novella che sarà di grande gioia per tutto il popolo; oggi vi è nato nella città di Davide il Salvatore che è Cristo Signore Questo vi servirà da segno: troverete un Bambino avvolto in fasce ‘(Lc 2, 8-13).
 
D ‘ I PASTORI
In numerose immagini compare un pastore che suona il flauto e qualche volta c’è un cane.
 
E ‘ LA VERGINE MARIA , MADRE DI DIO
Nelle iconi, fuori dalla grotta, è rappresentata la Madre di Dio. Solitamente è distesa, qualche volta è seduta, in certi casi è inginocchiata.
Il profeta Davide che per lei è divenuto antenato di Dio ha predetto in un canto rivolto a Co¬lui che ha operato meraviglie in lei: ‘ la regina sta ritta alla tua destra’ , poiché è la madre del re, colei che gode della divina confidenza’.
La Vergine solitamente non volge lo sguardo al Bambino, ma verso l’infinito intenta a custo¬dire e riflettere in cuor suo tutto ciò che di straordinario era avvenuto in lei.
La Madre di Dio è posta in prossimità del cuore della montagna; raffigura la luce emanante dal roveto dei Sinai. ‘In esso, infatti, scorgiamo la premessa del mistero della Vergine dal cui parto è sorta sul mondo la luce di Dio. Questa lasciò intatto il roveto da cui proveniva come il parto non ha inaridito il fiore della sua verginità'(Gregorio Nisseno, Inno Akathistos)
 
F ‘ IL BAMBINO
Tra la Vergine e l’ingresso della grotta compare il Bambino, avvolto in fasce, posto più che in una mangiatoia, in un sepolcro dalla forma tradizionalmente squadrata e le pareti murarie.
Il Bambino è fasciato a guisa di un morto. Il bendaggio a fasce incrociate o intrecciate richia¬ma da vicino l’immagine di Lazzaro risorto, evoca cioè una figurazione mortuaria, che la mangiatoia ‘ sarcofago contribuisce a evidenziare.
Le fasce sono per i pastori segno di riconoscimento del Bambino, come saranno il segno tangibile della resurrezione per le donne, Pietro e Giovanni davanti al sepolcro vuoto.
 
G ‘ LA GROTTA
Dalla Vergine ‘ ha scritto il Damasceno ‘ ‘è nato il re della gloria’- rivestito della porpora della stia carne, che visitò i prigionieri e proclamò la liberazione’ di quanti erano nelle tenebre.
Assunse la carne per dare sovrabbondanti le sue grazie; e ‘il suo corpo fu come esca, gettato in braccio alla morte, affinché mentre il drago infernale sperava di divorarlo, dovesse invece vo¬mitare anche coloro che aveva già divorato’. Egli, infatti, precipitò la morte per sempre ed asciugò da tutti gli occhi le lacrime.’
La grotta, perciò, rappresenta l’inferno che si apre come le fauci di tiri mostro che tenta di ingoiare il Bambino. È la stessa voragine nera che si ritrova nelle iconi della Resurrezione.
 
H ‘ L’ASINO; I ‘ IL BUE
Nell’interno della grotta si intravedono il bue e l’asino, tante volte un cavallo per lambito slavo.
Questi due ani¬mali stanno a simboleggiare i Gentili: il bue figura, infatti, il culto mitríaco e l’asino la lussuría. Nell’interpretazione degli autori cristiani essi raffigurano ‘la parola del Profeta Isaia: `Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone; Israele, invece, non comprende, il mio popolo non ha senno ‘(Is 1,5). Questi animali si tenevano ai lati del Bambino e lo adoravano in¬cessantemente.
 
J ‘ GIUSEPPE ; K ‘ TIRSO , il pastore ‘diavolo
Nella parte inferiore delle rappresentazioni, troviamo Giuseppe e spesso, dinanzi a lui un uomo rivestito di pelli, appoggiato ad un bastone (Tirso).
Giuseppe impersona tutto il dramma umano: l’uomo davanti al mistero.
La letteratura apocrifa ha attribuito a Giuseppe un dubbio tutto umano e terreno, il dubbio dell’adulterio; e la figura pastorale che intrattiene visibilmente un dialogo con lui, alimenta e conferma i pensieri del suo animo agitato, personificando la tentazione diabolica.
Il pastore gli rivolge queste parole: ‘Come questo bastone non può produrre fronde, così un vecchio come te non può generare, e, d’altra parte, una vergine non può partorire’ suscitando così nel suo cuore una tempesta di pensieri contraddittori.
Nell’antichità pagana, il tirso era un alto bastone, attributo tipico di Dionisio, e dei suoi seguaci, satiri e baccanti, entità particolarmente rappresentative del paganesimo e del razionalismo sterile.
 
L ‘ L’ARBOSCELLO
Accanto al pastore o a Giuseppe si scorge un arboscello che spunta da un tronco: ‘Un virgulto sorge dal tronco di , Jes¬se, un pollone vien su dalle radici. Sopra di lui si poserà lo Spirito del Signore. In quel giorno il virgulto di Jesse starà come un segnacolo alle genti ed il luogo della sua dimora sarà glorioso. In quel giorno il Signore stenderà di nuovo la sua mano per riscattare il suo popolo'(Is 11,1-2;11,10-11.)
 
M- LA NUBE
Nella parte superiore delle iconi è spesso raffigurata la nube che si ritira verso il cielo .
Raccontano, infatti, gli apocrifi che pian piano la nube che ricopriva la grotta al momento della nascita si dileguò ed apparve una gran luce, che la vista non era in grado di sostenere. Poi quella luce decrebbe lentamente ed apparve il Bambino.
La nube evoca la presenza di Dio, che pose nelle tenebre il suo nascondiglio.
Il luogo, dove è Dio, viene denominato dalla Scrittura nube caliginosa: simboleggia le realtà sconosciute ed invisibili. Infatti come nube Dio guidò Israele verso la Terra Promessa, come nube si rivelò sul Sinai, come nube prese possesso del suo Santuario,’abbassò i cieli e discese ed una nebbia caliginosa era sotto i suoi piedi’ O, come nube si trasfigurò sul Tabor, ed infine fu proprio una nube a sottrarlo agli sguardi attoniti degli Apostoli nell’Ascensione.
N ‘ LA LUCE
Un fascio di luce discende sulla grotta e comprende in sé la stella che guida i Magi è la luce che apparve ai gentili e tu nascosta ai giudei.
Il fascio di luce nel suo percorso discendente dal cielo alla terra, si suddivide in tre raggi diretti verso il Bambino: è l’unità e trinità di Dio che si manifesta come luce.
 
O ‘ LA STELLA

La stella è compimento della profezia di Isaia: ‘Sorgi! Sii raggiante perché la tua luce viene e per te spunta la gloria del Signore. Mentre le tenebre avvolgono la terra e l’oscurità si stende sui popoli, ecco su di te si leva il Signore e la sua gloria su di te si rivela. Le nazioni cammineranno alla tua luce ed i re allo splendore della tua aurora. Guarda, da tutte le parti si adunano e vengo¬no a te, tu chiami i figli che giungono da lontano’
 
P ‘ LE PECORE
Nell’angolo inferiore, solitamente, non mancano pecore o le capre, raggruppate o sparse ai pie¬di della montagna, talvolta buoi ed un cane; gli animali sono spesso intenti a bere, ma in qualche caso volgono lo sguardo in alto. Essi esprimono lo stupore del creato.
 
Q ‘ EVA; R ‘ SALOME ; S ‘ BAGNO
Nella parte inferiore delle rappresentazioni vi sono 2 donne, Eva (la nostra prima madre) e Salome, che preparano il bagno del Bambino.
Il gesto del bagno sta a sottolineare un’azione puramente umana e con essa la vera e non ap¬parente umanità di Cristo. Ma nello stesso tempo è prefigura del battesimo: morte e discesa agli Inferi.
Il bagno è come un seppellimento nel sepolcro liquido, lo stesso in cui è immerso il Cristo
nell’icone dell’Epifania.
La catechesi primitiva richiama sempre l’attenzione su questo aspetto del battesimo: il batte¬simo per immersione consente, infatti, di ripercorrere l’intero itinerario salvifico, e il battezzato lo può rivivere seguendo il Signore.
 
T ‘ I MAGI

Alcune volte a piedi, altre volte a cavallo, guidati dalla stella, giungono i Magi.
I Magi figurano gli uomini fuori dell’Antica Alleanza che il nuovo regno messianico deve comprendere. I santi e i giusti, benché non partecipi di Israele, sono cari a Dio perché lo temono e praticano la giustizia. Essi traducono figurativamente il monito del profeta Isaia: ‘Il Signore toglierà da Israele il capo e la coda, la palma ed il giunco in un sol giorno’.
I Magi sono anche prefigura delle donne mirofore; esse, infatti, si rincuoravano l’una l’altra dicendo: ‘Affrettiamoci, adoriamolo come i Magi e portiamo in dono unguenti a Colui che non è più avvolto in fasce, ma in una sindone'(ode vi del Canone del Mattutino della Resurrezione );
i Magi, a loro volta, come le mirofore, diven¬nero ‘divini araldi che tornati in Babilonia adempirono il responso predicando a tutti Cristo’.
La tradizione iconografica ha trasmesso una caratteristica costante dei Magi: L’ETA’ . Presentano infatti un sembiante giovanile, adulto e senile, riproducendo così le tre età dell’uomo, in un’unica sintesi visiva.
L’icona di Natale è la storia della salvezza dove ritroviamo i misteri del cristianesimo: l’incarnazione , la morte e la resurrezione; difatti nella vigilia della festa , al ora IX cantiamo:’Egli infatti, è nato per noi dalla Vergine, ha sofferto la crocifissione e con la morte ha distrutto la morte e ha mostrato la resurezzione quale Dio’

Festa patronale di San Nicola di Mira a Lungro

di Papàs Gabriel Sebastian Otvos
Il 5 dicembre di questo anno (2010) nella vigilia della Festa del Santo Patrono della Cattedrale, protettore del paese di Lungro e della Diocesi di Lungro, San Nicola di Mira, ha avuto luogo la celebrazione del Vespro Solenne con la benedizione dei pani (artoklasia), presieduta da S.E Mons. Ercole Lupinacci , Vescovo Emerito di Lungro. Arrivato il momento della benedizione dei pani, il Vescovo prendendo un pane e tracciando su di esso un segno della croce, recitò ad alta voce la seguente preghiera: ‘Signore Gesù Cristo, Dio nostro, che hai benedetto cinque pani nel deserto e con questi hai saziato cinquemila persone, tu stesso benedici anche questi pani, il grano, il vino e l’olio, rendili abbondanti in questo paese, e nel mondo intero, e santifica tutti i fedeli tuoi servi che ne prendono. Tu infatti, sei colui che benedice e santifica ogni cosa, Cristo Dio nostro, e a te rendiamo gloria, assieme all’eterno Padre e al Tuttosanto buono e vivificante tuo Spirito, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amìn.’ (preghiera dell’Artoclasia )
Le ufficiature liturgiche serali secondo il rito bizantino  sono di una ricchezza e  di una bellezza a parte. L’emozione prodotta dai testi innografici che raduna le attività quotidiane con la notte che si avvicina, offre la pace interiore all’anima che si apre a Dio. Preoccupati della loro esistenza durante il giorno, i fedeli portano alcuni prodotti materiali essenziali in Chiesa, verso la sera, nella vigilia di alcune grandi feste per la loro benedizione durante l’ufficiatura liturgica, chiamata Litì (solenne processione) .
Questo servizio liturgico non fa parte del gruppo di sette lodi, cioè, le ufficiature che formano il servizio divino di una giornata liturgica,che hanno un carattere normativo ed obbligatorio tanto per i Monasteri che per le Cattedrali;  questa essendo difatti un’ufficiatura di benedizione dei pani, del grano, dell’olio e del vino. Essa non si celebra mai da sola ma si inquadra sia nel Vespro, sia (ma raramente) nel Mattutino.
Le antiche preghiere della Litì processionale sono state mantenute in uso fino adesso, ma  inserite nel servizio divino delle Chiese e formano la prima parte della Litì di oggi. Loro hanno un accentuato carattere penitenziale, cioè esprimono con insistenza il sentimento di penitenza e implorazione per il perdono dei peccati, poiché nella concezione cristiana antica le disgrazie , per quali loro pregavano che si allontanassero, erano considerate le conseguenze dei peccati.
Alle preghiere delle antiche Litì processionali  si è aggiunto col tempo il cerimoniale nuovo, che forma la seconda parte della Litì di oggi dove ha luogo la benedizione dei pani portati dai fedeli in onore del Santo venerato. Questa parte della Litì che si  intercala alla fine del Vespro tra i tropari e la preghiera finale del vespro ha origini monatsiche; questa usanza è conosciuta sotto il nome di Artoklasia (latin. fractio panis; bulg. petohleabme ), cioè la frazione del pane ( Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere.‘ Atti 2, 42), nome che si usa tuttora per le Litì nei libri liturgici greci e bulgari.
 Il rituale della benedizione, la frazione e distribuzione dei pani, che all’inizio non aveva carattere liturgico, col tempo ha preso uno sviluppo e una grande solennità che si è unita con le preghiere di implorazione lette durante le antiche processioni, diventando un vera ufficiatura a parte .
Le glorie di San Nicola, cantate dai migliori poeti di Bisanzio, di cui veniamo a conoscenza attraverso i testi che l’ufficiatura del vespro ci mette a disposizione, possano suscitare in tutti i cristiani il desiderio di imitare le sue virtù e possano altresì ottenere a tutti coloro che amano onoraLo con sempre crescente devozione, fiducia e speranza, quelle grazie abbondanti che Egli, quale dispensatore dei favori celesti, sa efficacemente e generosamente elargire.
 
____Bibliografia _________________
1.      San Nicola, Testi Liturgici dell’oriente Cristiano
2.      P.Prof.Dr. ENE BRANISTE, Liturgica Speciala

La Chiesa di Lungro all’Unical

È giunta al terzo anno consecutivo la presenza di un sacerdote arbëreshë, di rito bizantino, dell’Eparchia di Lungro, nella Cappella della Università della Calabria.
 
La opportunità e la possibilità di questa presenza è stata prospettata e favorita dai Padri Dehoniani che, da anni, sono permanentemente disponibili, al servizio di studenti, docenti e personale universitario per il dialogo, per l’accompagnamento spirituale e per il sacramento della riconciliazione.
 
Da tre anni, ogni martedì, dalle 9 alle 12, in Cappella, al cubo 23, offre lo stesso servizio anche un sacerdote  arbëreshë della Eparchia di Lungro. Egli è a disposizione sia dei tanti giovani provenienti dai Paesi arbëreshë, di rito bizantino, della Diocesi di Lungro come anche di chiunque abbia bisogno di confessarsi o è alla ricerca di un sollievo spirituale. 
 
All’Unical gravitano quotidianamente circa 37.000 persone tra studenti, docenti e personale di servizio; molti di loro sono arbëreshë e alcuni occupano anche posti di notevole rilievo nell’ambito dell’Ateneo.
 
Quotidianamente sono veramente tanti i giovani, ma molti sono anche i docenti e il personale amministrativo, che frequentano la Cappella universitaria.
 
Di martedì, quando Zoti arbëreshë è presente in Cappella, molti oltre a ricevere conforto spirituale vengono anche a conoscenza della nostra piccola Chiesa Cattolica Bizantina e della sua missione di Chiesa orientale in pieno territorio occidentale latino.
 
La presenza all’Unical prevede anche la celebrazione della Divina Liturgia ogni 2° martedì del mese.
 
L’animazione della Divina Liturgia è a cura dei seminaristi del Seminario Maggiore Eparchiale di Lungro.
 
A sentire quello che dicono i numerosi partecipanti alla sacra sinassi, grande è lo stupore e la gioia  che provano per questa ricca e significativa e storica particolarità ecclesiale che si ritrova in Calabria dove gli arbëreshë sono pienamente integrati, da 5 secoli, ma pur tuttavia mantengono tenacemente le tradizioni degli antenati e nel loro vissuto ecclesiale risultano essere come testimoni del passato e profeti del futuro. 

La Quaresima di Natale

     L’anno liturgico bizantino comporta quattro periodi di digiuno ossia quattro quaresime:
 
1) La Grande Quaresima di sette settimane che precede la Pasqua(Quaresima di Pasqua).
2) Il digiuno della festa dei santi Pietro e Paolo. Questo è variabile, incominciando otto giorni dopo le Pentecoste(che è festa mobile) e terminando il 28 giugno; varia da una a sei settimane.
3) Il digiuno della Dormizione della Santissima Vergine, che dura due settimane, da 1 al 14 agosto.
4) La Quaresima di Natale, con quaranta giorni, dal 15 novembre al 24 dicembre.
 
     La Quaresima di Natale è il primo digiuno dell’anno ecclesiastico e l’ultimo dell’anno civile; inizia il 15 novembre e finisce il 24 dicembre (incluso). La quaresima di Natale fu stabilita dalla Santa Chiesa per la preparazione spirituale dei fedeli nell’incontrare Dio fatto Uomo. Essa ci ricorda i Patriarchi, i Padri giusti del Vecchio Testamento e il digiuno di 40 giorni di Mosè, sul Monte Sinai, prima di ricevere la Legge del Decalogo (i dieci comandamenti), scritta da Dio sulle tavole di pietra (le tavole della legge ).
Le prime menzioni che riguardano la pratica del Digiuno di Natale risalgono ai secoli IV ‘V, a San Agostino e al Vescovo di Roma, San Leone I detto Magno (papa nel 440 cca.) che fece 9 discorsi sul digiuno di Natale, chiamato ‘il decimo mese di digiuno’.
 
I. Il Digiuno
     Nel Typikòn (= Libro che racchiude le rubriche liturgiche e le cerimonie religiose dell’ufficio e della Divina Liturgia, gli statuti e i regolamenti di un monastero) di San Saba sta scritto : ‘Dobbiamo sapere che: da domani mattina, cioè dal 15 novembre, inizia la Quaresima della Natività del Signore Gesù Cristo, dunque la Santa Quaresima. In questi 40 giorni, dobbiamo fare digiuno stretto tre giorni alla settimana: Lunedì, Mercoledì e Venerdì. Se dovesse capitare di festeggiare un Santo grande in questi giorni, si dà dispensa e si fa la festa per l’amore del Santo. Dunque nei giorni 16, 23 e 30 del mese di novembre e nei giorni 4, 5,6,9,17 e 20 di Dicembre; Se questi giorni dovessero capitare di martedì e giovedì mangiamo pesce, e se è di lunedì,mercoledì e venerdì si dà dispensa solo all’olio e al vino, e pesce mangeremo solo se si festeggia la Festa Patronale della Chiesa. Poi alla festa dell’Ingresso nel Tempio della Santissima Vergine, anche se capita di mercoledì o venerdì, si dà dispensa al pesce”. Altri Typikòn dicono che dal giorno 9 dicembre non dobbiamo più magiare il pesce, tranne i sabati e le domeniche o alla Festa Patronale di una Chiesa (quando si dispensa) e dal giorno 20 fino al giorno 25 del mese di Dicembre non mangiamo pesce’.
     Se vogliamo approfondire le origini del digiuno le dobbiamo cercare nella Santa Scrittura, per esempio nel libro della Genesi 2,16-17, leggiamo : ‘Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare ‘ ‘ .
Da questo testo consegue che il digiuno è stato il primo comandamento conosciuto dall’umanità; e se leggiamo l’antico Testamento potremo vedere l’importanza del digiuno accompagnato dalla preghiera, nei Profeti, Re, Padri Giusti , ecc. (2Samuele 12,16; 1Re 21,12 ; 2Cronache 20,3; Neemia 9,1; Salmi 69,10; Isaia 58,6; Daniele 6:18; Giona 3,5; Zaccaria 8,19).
     Nel Nuovo Testamento è evidenziato ancora di più l’importanza del digiuno accompagnato dalla preghiera; in questo senso l’evangelista Matteo ci racconta che Gesù stesso ha digiunato: ‘Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. E, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti ‘ ‘ (Mt 4,1-3), e che spesso raccomandava al suo popolo che digiunasse e pregasse ‘Questa specie di demòni non esce se non per mezzo della preghiera e del digiuno'(Mt 17,21);
 
II Come digiunare ?
     La Quaresima di Natale deve essere, innanzitutto, un’astinenza dalle cose che ci allontanano da Dio e dal prossimo. Il digiuno accompagnato dalla preghiera durante la quaresima, è un aiuto spirituale che disciplina sia il corpo che l’anima e permette all’uomo di farsi più vicino a Dio.
Allora, il digiuno non consiste nell’eliminazione totale del cibo, come si potrebbe erroneamente credere; negli Orientamenti pastorali e norme canoniche del II Sinodo Intereparchiale di Lungro, Piana degli Albanesi e Grottaferrata, leggiamo:
‘art.313: ‘ sono giorni di digiuno e astinenza: b. i giorni della quaresima dei Santi Apostoli, della quaresima che prepara la festa della Dormizione della Madre di Dio e della quaresima della Natività del Signore, esclusi il sabato e la domenica; i giorni in cui si celebrano le Grandi Ore del Natale e dell’Epifania.’
‘art.315 La tradizione ci insegna che nei giorni di digiuno si pratica anche l’astinenza dalla carne ‘ Rimane essenziale il limitarsi nel cibo secondo le proprie capacità di digiunare. Questa maniera attenuata conserva il suo valore anche per gli anziani e gli ammalati, in grado di osservarlo, perché il digiuno è un elemento fondamentale della vita cristiana ‘ ‘
Nel giorno in cui sarà la celebrazione delle Grandi Ore di Natale, si osserverà un digiuno più stretto.
 
III. Ufficiature liturgiche specifiche
     Durante la Quaresima di Natale iniziando dal giorno 21 novembre si introducono nel quadro del Mattutino le Katavasìe della Natività del Signore, che si cantano fino al 31 dicembre. Se la vigilia di Natale è di sabato o di Domenica, in questo giorno si celebrerà la Divina Liturgia di S.Giovanni Crisostomo poi nel giorno della Festa si celebrerà la Divina Liturgia di S.Basilio il Grande unita con il Vespro; l’ufficiatura delle Grandi Ore si sposta al venerdì che li precede, diventando questo giorno aliturgico. Altrettanto, se la vigilia di Natale cade nei giorni dal lunedì al venerdì, la mattina si celebreranno le Grandi Ore e poi la sera la Divina Liturgia di San Basilio il Grande unita con il Vespro e nel giorno della festa si celebrerà la Divina Liturgia di S. Giovanni Crisostomo.

6 dicembre: San Nicola di Mira, protettore dell’Eparchia di Lungro

   Note su San Nicola Di Mira il taumaturgo                                                                               
di Papàs Vittorio Amedeo Marchianò
 
1. La festa di S. Nicola del 6 dicembre è molto importante e fortemente sentita dai fedeli delle chiese bizantine. Anche tra gli italo-albanesi questo Santo viene venerato con particolare devozione. A Lungro la cattedrale è dedicata per l’appunto a S. Nicola: durante il vespro vengono benedetti e distribuiti, in onore del Santo, dei piccoli pani, e la festa si prolunga nei vari rioni con l’accensione di fuochi chiamati ‘Kaminet’. Anche a Piana degli Albanesi c’è l’uso della benedizione e distribuzione di pani piccoli e duri che secondo la tradizione devono essere buttati per calmare i forti temporali. A Santa Sofia d’Epiro e a S. Demetrio Corone il culto del Santo è molto antico, come testimonia il fatto che alcune località sono chiamate S. Nicola. Nella parrocchia di Macchia c’è in campagna anche una antica edicola in onore del Santo nella località omonima. A Santa Sofia c’è l’usanza che i proprietari terrieri, possessori di vacche e buoi, portino in chiesa, affinché siano benedetti, dei piccoli pani che riportano poi in casa e distribuiscono ai vicini e ai conoscenti. S. Nicola viene venerato come il protettore delle vacche e dei buoi, perciò secondo l’antica tradizione i pani devono essere della grandezza di un occhio di bue. Però attualmente vengono fatti come panini,  anche se di pasta più consistente. Ugualmente nella parrocchia di Macchia c’è la medesima usanza. Anzi qui S. Nicola viene festeggiato, richiamandosi all’uso slavo, anche il 9 maggio. E prima , in tale data, si faceva una processione nella campagna dove appunto sorge l’edicola del Santo.
 2. La chiesa bizantina riserva a S. Nicola un culto preminente rispetto agli altri Santi; egli è il corrispondente di S. Giovanni Battista per il N.T. Infatti in ogni giovedì della settimana, l’ufficiatura è dedicata agli Apostoli e a S. Nicola. Di lui si fa esplicita memoria nella protesi della liturgia eucaristica, commemorando gli altri grandi vescovi, e nel mattutino viene sempre menzionato come nostro intercessore. Anche S. Demetrio e S. Giorgio godono di un culto grande e universale, ma tale culto è dovuto al fatto che erano i Santi protettori dell’esercito e quindi dell’esistenza e della libertà dell’impero cristiano. Invece il culto a S. Nicola si è così ampiamente e grandemente diffuso per vari fattori.
Nicola, in primo luogo, è visto come liberatore immediato da pericoli estremi e imprevedibili: egli si fa presente quando è invocato con fede; protettore efficace di coloro che subiscono ingiustizie; difensore dei poveri; guaritore degli ammalati; custode attento della salvezza spirituale dei fedeli; benefattore di intere popolazioni. E così viene elevato a difensore e protettore di tutta la chiesa e di tutti i cristiani. La chiesa vede in lui la continuazione attuale e più potente e più estesa di quelle opere che già aveva operato in vita. Una volta sepolto, le sue ossa emanano un liquido odoroso, la manna, che guarisce le malattie corporali e spirituali. La sua tomba, meta di pellegrinaggi, situata vicino al porto di Andriake presso Mira, porto molto frequentato nell’antichità, fece in modo che il suo culto si diffondesse molto rapidamente ovunque, e diede a S. Nicola anche il ruolo di protettore degli uomini di mare. Le scorrerie degli Arabi del VII e VIII secolo, con la conseguente prigionia e schiavitù di molti cristiani, consolidarono la sua fama di pronto soccorritore dei disperati e la fiducia dei fedeli.
In secondo luogo la persona di S. Nicola riunisce in sé molteplici carismi:
  • ·     Quello della vita monastica ante litteram, perché ha rinunziato ai beni, al matrimonio, è andato via dalla propria patria (infatti da Patara si trasferì a Mira), ha praticato il digiuno.
  • ·     Quello di confessore, cioè di martire senza sangue, perché ha subito il carcere durante la persecuzione di Diocleziano per vari anni e ne è stato duramente segnato per tutta la vita.
  • ·     Quello di apostolo, perché chiamato da Dio in modo miracoloso all’episcopato, e ha convertito molti pagani alla fede cristiana; come gli Apostoli ha annunziato con fedeltà il Vangelo ed ha allontanato dalla sua chiesa l’eresia ariana che voleva il Figlio creatura di Dio, e l’eresia sabelliana che vedeva nel Figlio una manifestazione temporanea del Padre.
  • ·     Quello di imitatore di Cristo, perché ha offerto la vita per il suo popolo.
Ma  S. Nicola è stato caratterizzato soprattutto dalla compassione verso gli altri, che si traduceva in azioni concrete, efficaci ed immediate di soccorso nei gravi pericoli, sia del corpo, sia dell’anima. Sappiamo che, in modo nascosto, fornì il denaro necessario alla dote matrimoniale di tre fanciulle che un padre impoverito e disperato aveva pensato di destinare alla prostituzione; liberò con molto coraggio tre miseri innocenti condannati a morte da un giudice iniquo. Un carisma esercitato anche da lontano, sia in terra sia in mare: infatti, apparendo in sogno a Costantino nella capitale, S. Nicola fece liberare tre condottieri prigionieri condannati a morte;  invocato da alcuni marinai durante una furiosa tempesta, il Santo appare e li aiuta a salvare la nave. Dopo la morte questo suo carisma è stato potenziato dalla grazia divina, e nella chiesa è il Santo che più degli altri si manifesta come potente e immediato soccorritore, un vero protettore dei cristiani.
A tale riguardo è molto importante soffermarsi sul dittico del Monastero del Sinai. Esso in origine era un trittico, la cui parte centrale però è andata perduta, e viene comunemente considerato molto antico, risalente agli inizi dell’ottavo secolo o anche prima. Nella parte destra vengono raffigurati S. Pietro e, sotto, S. Giovanni Crisostomo, nella parte sinistra S. Paolo e, sotto, S. Nicola. Quest’ultimo però è l’unico raffigurato in un gesto di benedizione con il volto vivo e sorridente. Ciò vuol dire che S. Nicola svolge attualmente un ruolo particolare: come S. Pietro esprime la roccia incrollabile della fede della Chiesa, S. Paolo lo zelo e lo slancio missionario della chiesa, S. Giovanni Crisostomo la guida del popolo cristiano mediante gli scritti liturgici e i commenti alla sacra scrittura, così S. Nicola esprime la sua azione attuale di protezione verso tutti i fedeli della chiesa.
Il culto molto rilevante, riservato a S. Nicola nel rito bizantino, vuole, contro ogni forza centrifuga, mettere in risalto la sinergia tra carisma e istituzione. Vuole significare che l’episcopato, poiché è coniugato al monachesimo e alla confessione di fede, è il più importante carisma nella Chiesa. Ci sono vescovi, monaci, martiri e confessori, ma con S. Nicola l’istituzione dell’episcopato è associata ai carismi del monachesimo e del martirio, e dopo di lui prevarrà nella Chiesa la figura del vescovo monaco e confessore della fede, di modo che l’istituzione è stabilmente unita al carisma.
 3. Sfortunatamente su S. Nicola non abbiamo documenti storici a lui vicini; nel nono  secolo appaiono scritti occasionali o di seconda mano, come la traduzione latina di Giovanni Diacono. Solo nel decimo secolo abbiamo la vita di S. Nicola ad opera di Simeone Metafraste che, pur obbedendo ai canoni agiografici e alla volontà di edificare i lettori, rimane l’unico documento organico e basato sulla seria ricerca di fonti scritte e tradizioni orali. Di questa vita manca finora una traduzione italiana.
A complicare le cose venne la pubblicazione nel 1751, ad opera del Falcone metropolita di S. Severina in Calabria, di una vita inedita di un altro S. Nicola, archimandrita, vissuto ai tempi di Giustiniano. Il Falcone utilizzò il documento in modo del tutto fuorviante: giunse persino alla negazione dell’esistenza di S. Nicola di Mira, mentre chiaramente il testo fa menzione due volte di chiese a lui dedicate. Purtroppo attualmente questa vita è considerata autentica, ma ciò mostra solo la superficialità dell’esame critico. Infatti questa vita di un S: Nicola Archimandrita, non risale per nulla ai tempi di Giustiniano, perché così conclude: ‘(S. Nicola) compì la sua vita e regnò su tutti i credenti’, non si tratta perciò di una testimonianza contemporanea. Inoltre è pieno di incongruenze, non si capisce chi ha costruito la Santa Sion, se lo zio o il nipote, né è chiara l’ubicazione della Santa Sion. E ci sono cose inverosimili come il sacrificio di molti buoi ad opera di questo Nicola Archimandrita, non si capisce come poteva sostenere la spesa. Poi, come mostra il codice sinaitico e traduzioni latine, in questa vita convergono tre nuclei separati: a) gioventù di Nicola, b) Nicola monaco, c) Nicola vescovo; perciò non è uno scritto omogeneo. E ad un attento esame è difficile spiegare come, ai tempi di Giustiniano, un vescovo fosse ordinato da un solo vescovo, senza il consenso degli altri vescovi e senza la loro presenza. Ed è difficile spiegare come un vescovo continui a stare non nella sua sede, ma nel monastero. In realtà questo presunto S. Nicola archimandrita era un monofisita, infatti c’è esplicitamente nel testo in riferimento alla persecuzione imperiale (un fiume esce dal palazzo reale) e questo archimandrita è stato denunziato al governatore dal vescovo Filippo di Mira, e il clero locale e le autorità civili si sono opposti al suo progetto di costruire una chiesa alla Madre di Dio.
 4. Vi sono invece forti testimonianze a favore di S. Nicola vescovo di Mira, vissuto ai tempi di Costantino il Grande. La cosa più sorprendente è che il nome Nicola, nome usato dai pagani fino al V secolo, era bandito dai cristiani per le tremende accuse rivolte dall’Apocalisse a degli eretici immorali chiamati nicolaiti, che gli scrittori cristiani facevano risalire direttamente a Nicola, uno dei sette diaconi o ad un suo insegnamento mal capito ed equivocato. Invece dagli inizi del V secolo vediamo che il nome Nicola è usato dai cristiani; ad esempio Giovanni Crisostomo scrive ad un presbitero Nicola e Marco l’eremita scrive ad un figlio spirituale di nome Nicola.
Abbiamo in un autore della fine del VI secolo, Eustrazio di Costantinopoli, un’esplicita citazione di una vita di S. Nicola, nella quale si riporta l’episodio dell’apparizione di S. Nicola all’imperatore Costantino, per la liberazione di tre condottieri condannati ingiustamente a morte. Ora, è impossibile che questa sia un’interpolazione, perché l’opera di Eustrazio non è molto nota, né si capisce il motivo di fare una interpolazione. E’ inoltre da rilevare che Eustrazio nomini la vita di S. Nicola accanto a brani dei grandi padri, perciò ai suoi tempi doveva essere nota a tutti questa vita di S. Nicola. Su questo argomento e su tutta la materia rinviamo all’opera veramente importante di G. Cioffari.
Un altro fatto determinante è la forte convergenza e congruenza di ciò che sappiamo dalla storia e di ciò che ci è stato tramandato su Nicola. L’episodio della dote matrimoniale fornita nascostamente alle tre fanciulle, rispecchia effettivamente l’uso della Licia, dove una ragazza per sposarsi doveva avere una dote sufficiente. E sappiamo che perfino i ricchi pagani della Licia avevano un animo generoso, si ricordavano dei poveri e fornivano la dote necessaria alle ragazze indigenti. Conosciamo anche il carattere deciso e radicale dei Lici, che ad esempio preferirono dinanzi a Bruto morire piuttosto che arrendersi. E questa radicalità e decisione  vediamo nei cristiani di questa regione, ad esempio l’ascetismo propugnato ed esaltato da Metodio di Olimpo, autentico maestro spirituale, che predicava la rinunzia ai beni, al matrimonio, alla patria, ed ha avuto dei seguaci in Affiano di Gaga e in suo fratello Edesio. E perciò in tale contesto si spiega sia l’eccezionale generosità di S. Nicola ma anche l’adesione radicale al precetto evangelico di fare l’elemosina in segreto. Giustamente il patriarca Metodio esclama, meravigliato, che S. Nicola pratica un comandamento nel comandamento. E tale episodio è di così alto valore spirituale che viene proposto da Paulo Everghetinòs come insegnamento da praticare ai monaci.
La critica ha presentato molti dubbi sugli episodi della vita di S. Nicola, ma non tutti hanno consistenza. Il famoso episodio dei tre condottieri liberati da morte, non è per nulla inventato, perché ad esempio la popolazione barbara dei Taifali non è molto nota, corrisponde poi , per quanto i fatti accaduti a Mira, perché si citano luoghi precisi, e perché Ablavio era veramente scellerato, e Costantino credeva alla magia. E così anche gli altri episodi trovano una credibile collocazione storica al tempo di Costantino, come la riduzione consistente delle tasse dovute dalla città di Mira, perché questo imperatore nei casi di carestia concedeva la totale amnistia fiscale. Anche la vita monastica di S. Nicola non è per nulla anacronistica, perché lo stesso Metafraste ha scritto la vita di S. Caritone di Iconio che conduceva vita eremitica a Gerico dopo la persecuzione di Aureliano (270/275); e sappiamo che Pafnuzio fu monaco fin da piccolo e subì la persecuzione sotto Diocleziano, e Giacomo di Nisibi  praticò anche vita monastica, e tutti e due hanno partecipato al concilio di Nicea. Sopra abbiamo già parlato di Metodio di Olimpio che fu un fervente assertore della vita ascetica e dei suoi ideali, e della Licia era Affiano di Gaga, che effettivamente rinunciò ai beni, al matrimonio e alla patria. Perciò in Licia ai tempi di S. Nicola era già viva una corrente ascetica. Anche la distruzione del tempio di Artemide, da parte di S. Nicola, è del tutto credibile, sia perché, secondo Eusebio, Costantino fece abbattere o chiudere templi pagani, sia perché i cristiani della Licia erano estremisti e intolleranti versi i pagani, così ad esempio il martire Leone e i martiri Affiano ed Edesio.
Per quanto riguarda la prigionia di S. Nicola e la sua morte in età avanzata, conferme sorprendenti ci provengono dalla ricognizione effettuata sulle ossa del Santo a Bari dopo il 1950: i dati scientifici parlano esplicitamente di ossa che appartengono ad un uomo di età avanzata che per vari anni è stato rinchiuso in luoghi umidi, carceri sotterranee, e ciò ha provocato una deformazione scheletrica e un ispessimento del cranio. E infatti nel II concilio di Nicea l’arcivescovo di Mira, Teodoro, descrisse la figura di S. Nicola come quella di un uomo anziano, e il Metafraste parla di S. Nicola morto in età avanzata.
Comunque di S. Nicola non sappiamo tutto. Il kondakion in suo onore si esprime così: ‘In Mira, o Santo, ti sei manifestato quale operatore sacerdotale, del Cristo infatti, o santo (monaco), hai adempiuto perfettamente il vangelo, hai offerto in sacrificio la tua vita per il tuo popolo, hai salvato gli innocenti dalla morte’. Ora, non sappiamo bene a cosa si riferisca l’offrire la vita in sacrificio, forse difendendo i cristiani durante la persecuzione, oppure trattenere, a rischio della propria vita, del grano destinato alla capitale.
Così in antiche icone sopra S. Nicola vengono raffigurati a destra il Cristo con il vangelo, a sinistra la Madonna con l’omoforion. Si tratta chiaramente di forti anacronismi, perché vangelo e omoforion sono diventati distintivi dei vescovi molto più tardi, e così è da escludere un culto alla Theotokos al tempo di S. Nicola. Un autore anonimo lo spiega nel senso dell’elezione episcopale come scelta divina, però il Metafraste, conscio dell’anacronismo, non ne fa parola. La tradizione invece pensa ad una deposizione e successiva reintegrazione durante il concilio di Nicea per l’eccessivo zelo antiariano. E’ possibile invece che S. Nicola sia stato accusato di eresia da parte ariana o sabelliana in un concilio locale, e poi reintegrato nella chiesa, una volta che la sua fede risultava conforme al vangelo e perfettamente ortodossa.
Bisogna anche ricordare che l’encomio di S. Nicola, attribuito ad Andrea di Creta, parla della conversione ad opera di S. Nicola del vescovo eretico Teognide, appartenente alla setta dei marcianisti. E c’è l’accenno anche alle lettere inviate da S. Nicola. Ora, marcianista è sinonimo di marcionita, come si ricava da Eusebio di Cesarea e da Fozio; dunque non necessariamente indica i messaliani del VI secolo. Comunque da Eusebio ricaviamo che al tempo della grande persecuzione ci sono ancora vescovi della chiesa marcionita. La notizia più importante è che a S. Nicola vengono attribuite anche delle lettere.
 5. La nostra riflessione deve toccare anche altri punti. Nelle varie fonti, Nicola presenta se stesso come ‘Nicola peccatore‘ sia quando sta per entrare in chiesa prima dell’elezione episcopale, sia apparendo in sogno a Costantino ed Ablavio: ora tale titolo difficilmente può risalire agli agiografi, ma si fonda su una tradizione autentica. E bisogna far attenzione che racconti popolari e leggendari mantengano inalterati alcuni dati storici, ad esempio nell’episodio sul tributo non si parla affatto del patriarca o arcivescovo di Costantinopoli, ma semplicemente di vescovo del luogo. E così S. Nicola è detto vescovo di Mira e non arcivescovo, sappiamo infatti che Teodoro, al II concilio di Nicea, è presentato come arcivescovo, dunque tale titolo è tardivo.
Uno degli argomenti dei critici per negare la storicità dell’episodio dei tre condottieri, è la minaccia di S. Nicola fatta in sogno a Costantino di far scoppiare una guerra a Durazzo. Si rimane perplessi di fronte all’indicazione di questo luogo, ma tutti i ragazzi degli inizi del IV secolo che frequentavano la scuola conoscevano il suo significato infausto, infatti fu l’unica volta che Cesare non riuscì a vincere una battaglia!
 6. In contraddizione con la storia appare a tutti la notizia che S. Nicola fu liberato da Costantino. Eppure perfino Teodoreto di Ciro parla di questo imperatore come il nuovo Zorobanele che ha liberato i prigionieri, e Lattanzio afferma addirittura che la sua prima legge da Augusto fu quella di dare libertà ai cristiani incarcerati. Poi, noi non sappiamo dove effettivamente si trovava prigioniero S. Nicola, nulla impedisce che fosse stato esiliato come il suo conterraneo Metodio di Olimpo che morì martire in Eubea. E’ da chiarire pure che la Licia è stata conquistata da Massimino ed è stata nelle sue mani con tutta l’Asia Minore fino al 313 e che dopo tale data l’Illyricum con la Grecia apparteneva a Costantino.
 7. Segnaliamo per sommi capi alcuni dati cronologici probabili della vita del Santo.
 250 circa  Nascita di S. Nicola a Patara della Licia da famiglia ricca
290 circa  Eletto in modo miracoloso vescovo di Mira della Licia
303          Arrestato in quanto vescovo
312          Liberato  da Costantino
318          Probabilmente presente nella inaugurazione della cattedrale di Tiro e probabile pellegrinaggio in Terra Santa
            325          Partecipazione al concilio di Nicea
            335          Partecipazione al concilio di Tiro e all’inaugurazione della chiesa  dell’Anastasis di Gerusalemme
            336 circa  Morte
  Concludiamo con la preghiera a S. Nicola, usata nella chiesa bizantina, perché questo protettore del mondo dia a tutti i cristiani il suo aiuto: ‘Regola di fede, immagine della mitezza, maestro di continenza, ti mostrò al tuo gregge la realtà dei fatti; per questo hai acquistato con l’umiltà le cose sublimi, con la povertà la ricchezza, o Padre Gerarca Nicola, prega Cristo Dio perché salvi le anime nostre’.