La Mistagogia di Massimo il Confessore

Massimo il Confessore (Palestina, 579/580 – Lazica, 13 agosto 662) scrisse nel 630 a Cartagine la sua Mistagogia[1] che dedicò al senatore e presbitero Teocaristo, un parente dell’eparca d’Africa Giorgio e fratello dell’esarca d’Africa[2]. Il suo è il primo e il più importante testimone della liturgia eucaristica del suo tempo e la sua interpretazione mistagogica dei sacri riti taglia i ponti con quella delle catechesi mistagogiche di epoca patristica.

Rivolto ai monaci, il lavoro ha lo scopo di combinare la tradizione spirituale monastica con la mistica[3]. Massimo voleva mostrare l’importanza della liturgia per la vita monastica e correggere una tendenza che considerava poco importante per la pietà eucaristica. Questo trattato rimane una fonte importante per la conoscenza della comprensione bizantina della liturgia nel periodo immediatamente precedente a Germano.

Due sono state le tradizioni decisive nella formazione di Massimo come esegeta biblico: la tradizione alessandrina di Filone e Origene, per il tramite della meditazione dei Padri Cappadoci e dell’Areopagita e la tradizione monastica orientale che ha trattato la Sacra Scrittura come un tesoro di narrativa ascetica e di exempla, spesso agiografici e istruttivi per la vita cristiana. Massimo si riferisce in modo particolare alla Gerarchia ecclesiastica dello Pseudo-Dionigi da cui attinge sia la terminologia della sua dottrina che quella di altri autori neoplatonici come Procolo. Tuttavia a differenza dello Pseudo- Dionigi, Massimo vede rappresentata nella liturgia tutta la storia della salvezza, dall’incarnazione alle realtà ultime escatologiche. Il suo approccio, però, rimane essenzialmente alessandrino in quanto egli considera limitatamente gli eventi terreni della salvezza, sottolineando l’incarnazione di Cristo e allontanandosi virtualmente dal mistero pasquale.

L’approccio di Massimo alla liturgia è su due livelli: uno, che è definito “generale” (γενικώς) e l’altro, “particolare” (ἰδικῶς); per ogni parte della liturgia vengono offerte due spiegazioni: un significato generale che si riferisce al mistero della salvezza dell’intero cosmo e che ha alla base un metodo di interpretazione tipologico e un significato particolare che si riferisce ad ogni persona e che parte da un’interpretazione di natura anagogica. Possiamo vederlo fin dall’inizio del suo commento, quando descrive il simbolismo della costruzione di chiese. La chiesa è, innanzitutto, un’immagine dell’intero universo:

“Per quanto riguarda un secondo aspetto, era solito dire che la santa Chiesa di Dio è tipo e immagine del mondo tutto, costituito di sostanze visibili e invisibili, poiché contiene la stessa unione e diversità di Dio. Infatti come essa, pur essendo un solo edificio in relazione alla costruzione, ammette una diversità per una certa qualità della forma, in relazione alla posizione, distinguendosi a sua volta nel luogo riservato ai soli sacerdoti e ministri, che chiamiamo santuario, e in quello libero per l’accesso a tutti i laici fedeli, che chiamiamo tempio. […] E così anche tutto il mondo degli esseri, venuto da Dio quanto alla creazione, distinto in modo intellegibile, composto di essenze intellettuali e incorporee, e in questo mondo sensibile e corporeo e magnificamente intessuto di molte nature con forma sensibile, si rivela sapientemente per mezzo di questa – prodotta dall’uomo -, e avendo come santuario il mondo superiore, assegnato alle potenze superne, e come tempio il mondo di quaggiù, assegnato a coloro che hanno ottenuto in sorte il vivere soggetti alle sensazioni”[4].

Il significato particolare rende simbolico l’edificio della chiesa nell’individuo:

“E inoltre, secondo un altro modo di considerarla, diceva che la santa Chiesa di Dio è un uomo, avendo per anima il santuario, per intelligenza l’altare divino e per corpo il tempio, giacché è a immagine e somiglianza dell’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio. Per mezzo del tempio come del corpo, propone la filosofia morale; per mezzo del santuario, come dell’anima, espone spiritualmente la contemplazione naturale e per mezzo dell’intelletto, l’altare divino, mostra la teologia mistica”[5].

In questa maniera l’autore procede anche alla descrizione della Divina Liturgia: il sacerdote che presiede la celebrazione eucaristica, che inizia con il suo ingresso in chiesa, in processione con i fedeli, sta a significare

“… la conversione degli infedeli dalla mancanza di fede alla fede e dall’ignoranza e dall’errore al riconoscimento di Dio il mutamento dei fedeli dalla malvagità e dall’ignoranza alla virtù e alla conoscenza. Infatti l’ingresso nella chiesa non solo dimostra la conversione degli infedeli verso il vero e unico Dio, ma anche la correzione per il tramite del pentimento di ciascuno di noi che, pur essendo fedeli, violiamo i sacramenti del Signore con la tendenza a una vita intemperante e sconveniente”[6].

Per Massimo, la venuta di Cristo nel mondo ha riavvicinato l’uomo a Dio, dunque la celebrazione dell’eucaristia è strettamente legata alla storia di Cristo e a quella della Chiesa nel suo cammino verso il Regno dei cieli; perciò l’entrata del vescovo e dell’assemblea nella Chiesa è tipo e immagine della prima venuta del Cristo. Il momento in cui il sacerdote entra nel santuario e si siede in cattedra augurando la pace all’assemblea, che risponde “Con il tuo spirito”, rappresenta simbolicamente l’ascensione di Cristo in paradiso. Segue la liturgia della Parola con la serie di letture, due dell’Antico Testamento e una dall’epistolario paolino. Ogni lettura è preceduta dall’augurio della pace e seguita da un canto.

Successivamente vi è il Piccolo ingresso:

“… il primo ingresso del sacerdote nella santa chiesa nel corso della santa sinassi è tipo e immagine della prima venuta del Figlio di Dio nella carne in questo mondo…”[7].

La lettura del Vangelo, la discesa del vescovo dal trono, l’espulsione dei penitenti e dei catecumeni simboleggiano la Seconda Venuta di Cristo e il giudizio finale,

“… significa il compimento di questo mondo. Infatti, dopo la divina lettura del santo Vangelo, il sacerdote scende dal trono e per mezzo dei ministri avviene la dimissione e l’espulsione dei catecumeni e degli altri impegni della divina contemplazione dei misteri che saranno mostrati, contemplazione che di per se stessa significa figura la verità, della quale è immagine e tipo…”[8].

“La chiusura delle porte della santa Chiesa di Dio, che avviene dopo la sacra lettura del santo Vangelo e il congedo dei catecumeni, mostra l’uscita delle cose materiali dopo quella terribile separazione e quella sentenza ancora più terribile, [raffigura inoltre] l’ingresso di coloro che ne sono degni nel mondo intelligibile, cioè nel talamo di Cristo, e la perdita completa, nei nostri sensi, dell’attività ingannatrice”[9].

Dopo la proclamazione del Vangelo, il vescovo scende dalla cattedra, pronuncia l’omelia e vengono congedati i catecumeni e quanti sono in penitenza; questo simboleggia le passioni che sono espulse dall’anima. Vengono chiuse le porte a significare la “chiusura del mondo visibile”:

“Perciò subito dopo questi riti, la sacra costituzione della santa Chiesa stabilisce la divina lettura del santo Vangelo – che spiega in particolare la sofferenza degli zelanti a causa del Verbo – dopo la quale il Logos, per così dire sommo sacerdote della contemplazione gnostica, venendo a loro dal cielo, distrugge il loro il pensiero della carne, come una sorta di mondo sensibile, allontanando inoltre i pensieri che fanno guardare a terra, come inchiodati ad essa, e riconducendoli di lì, per il tramite della chiusura delle porte ingresso dei santi misteri alla contemplazione delle cose intelligibili.”[10].

La liturgia dei catecumeni rappresenta il cammino che vede l’inizio e la crescita del regno di Dio nella Chiesa, fino alla completa realizzazione della seconda venuta e la conversione dell’anima e la sua entrata nella pratica delle virtù.

I fedeli che restano in chiesa entrano nel regno dei cieli con l’inizio della liturgia dei fedeli e con l’entrata dei santi e venerabili misteri. Questo rito ha una certa importanza perché si tratta del Grande ingresso.

I riti seguenti della liturgia eucaristica prefigurano la visione del mondo a venire: l’entrata delle offerte annuncia la manifestazione di una nuova economia; il bacio della pace simboleggia l’unione degli eletti con il Verbo; il simbolo di fede indica l’azione di grazie; la dossologia del Trisagion, l’unità di uomini e angeli nella lode a Dio; il Padre Nostro mostra la pienezza dell’adozione filiale; il canto Eis aghios (Uno solo è il Santo, uno solo il Signore) indica l’unione dei perfetti con la divinità, la comunione e la deifica­zione escatologica. I riti diventano un assaggio della vita, dopo la parusia, nel Regno[11].

La Mistagogia non ha alcun indizio che attesti una preparazione delle oblazioni, cioè dei doni eucaristici prima della sinassi; il loro ingresso è seguito dal bacio della pace e dalla recitazione del simbolo di fede. Senza riferimento all’anafora (la parte centrale della Divina Liturgia, dal prefazio alla solenne dossologia finale), la Mistagogia passa dal Santo al Padre Nostro.

I riti della comunione per Massimo sono il momento della trasformazione in Cristo di coloro che partecipano all’eucaristia, della deificazione donata con l’eucarestia impartita in Cristo e attraverso Cristo. Gesù trasforma il fedele in se stesso. In questo modo il credente giunge non alla contemplazione delle essenze noetiche, non alle illuminazioni trasmesse dalla gerarchia celeste, ma a Cristo stesso.

Massimo il Confessore vuole dimostrare in primis come, al di là dei riti, ma attraverso di essi, ogni fedele venga introdotto alle realtà ultime: la Chiesa introduce la venuta di Cristo all’interno del tempo e ne anticipa la piena realizzazione nella misura in cui i fedeli si lasciano prendere dal modo di esistere di Cristo al quale i misteri celebrati devono configurarsi[12].

[1] Cf. PG 91, 657-718; MASSIMO IL CONFESSORE, Mistagogia, a cura di Rosa Maria Parriello, Paoline 2016.

[2] Cf. C. BOUDIGNON, Maxime le Confesseur était-il constantinopolitain?, in B. Janssens, B. Roosen, and P. Van Deun, Philomathestatos, Studies in Greek Patristic and Byzantine Texts, presented to Jacques Noret, in Orientalia Lovaniensia Analecta 137, (2004), Leuven Peeters, 39-40.

[3] Cf. I. H. DALMAIS, Place de la Mystagogie de saint Maxime le Confesseur dans la théologie liturgique byzantine, in Studia Patristica V/3, Texte und Untersuchungen 80, Berlin 1962, 283.

[4] Capitolo II; MASSIMO IL CONFESSORE, Mistagogia, 159-161.

[5] Capitolo IV; Ibidem, 165.

[6] Capitolo IX; Ibidem, 199.

[7] Capitolo VIII; Ibidem, 195.

[8] Capitolo XIV; Ibidem, 207.

[9] Capitolo XV; Ibidem, 209.

[10] Capitolo XIII; Ibidem, 203-205.

[11] Cf. Capitoli XVI-XX; Ibidem, 209-215.

[12] Cf. I.-H. DALMAIS, Mystère liturgique et divinization dans la Mystagogie de saint Maxime le Confesseur, in Jacques Fontaine and Charles Kannengiesser, Epektasis, Mélanges patristiques offerts au Cardinal Jean Daniélou, Beauchesne Paris 1972, 60.

diac. Antonio Calisi