Preparazione del celebrante alla Divina liturgia

Il sacerdote che si pone a servizio della salvezza degli uomini, deve essere distaccato dal peccato e rivolto verso Dio. Il fine del suo ministero è questo: “mettere ali all’anima, strapparla al mondo e consegnarla Dio…; per mezzo dello Spirito Santo insediare Cristo nei cuori perché gli abiti…; rendere (l’uomo) Dio”. Il presbitero nel suo servizio alla Chiesa manifesta la vita nuova generata da Gesù, ossia la vita vissuta in Lui e, dal momento che la divina liturgia è l’evento incomprensibile con il quale la vita di Gesù è donata ai credenti, essa è, contemporaneamente, ugualmente l’essenza del sacerdozio.

Prima di presentarsi all’altare il sacerdote chiede perdono e perdona chi gli ha fatto del male secondo l’insegnamento di Gesù: ” Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.” (Mt 5,23-24). San Giovanni Crisostomo è meravigliato davanti all’amore di Gesù: “O Mirabile bontà di Dio! O amore che va al di là dei nostri pensieri! Egli trascura l’onore che deve essergli reso, onde salvare la carità che noi dobbiamo avere per il prossimo… Perché anche questa è offerta e sacrificio: la riconciliazione con il fratello… egli apprezza immensamente la carità, da lui ritenuta il massimo sacrificio che gli si possa fare, e senza la quale non accetta neppure il culto… La santa mensa non accoglie coloro che sono in lite l’uno con l’altro”.

Nel Prato spirituale si riporta il seguente racconto: «Nell’isola di Cipro si trova una città, chiamata Amathus, in cui diviene vescovo di santissimo Giovanni, le cui imprese divine e anzitutto l’amore che nutriva per il prossimo e la sua estraneità ad ogni rancore è impossibile narrare. Egli aveva un diacono a capo delle affari della diocesi. Discorrendo con il vescovo e lasciandosi trasportare dalla foga, il diacono l’oltraggiò, in un giorno di festa, mentre quelli si apprestava a celebrare la liturgia. Quando giunse il momento del bacio delle icone, per “prendere tempo” e rivestirsi dei paramenti, il diacono, che si vergognava della parola indirizzata al presule, non venne a unirsi a costui. Allora il vescovo ricercò come un buon pastore la pecorella smarrita dicendo: “Oggi non si celebra la liturgia se non viene qui il diacono Epifanio”. Quando il diacono arrivò, il buon pastore lo abbracciò e egli si prostrò davanti come se a sbagliare fosse stato lui stesso. Dopo che ebbero indossato le vesti sacre, ordinò che gli fosse dato il ripidion[1] perché lo accompagnasse nella divina liturgia. Dopo il congedo, invitò diacono a pranzo; al termine gli donò uno stichàrion[2] di pura seta che valeva 12 monete e in questo modo lo lasciò andare in pace. I parenti del vescovo mormoravano dicendo: “Se non ti fai temere dagli insolenti, tutti ti copriranno di disprezzo”. Ma l’uomo di Dio, rimproverandoli duramente e con fare autoritario, li biasimò con queste parole: “Non sapete quel che dite, non sapete che il Signore oltraggiato non rispondeva agli oltraggi, colpito non rispondeva ai colpi… Credetemi, figli, ho l’abitudine, quando offro il sacrificio incruento, prima di iniziare la preparazione delle oblate, di elevare una preghiera a Dio per la mia nullità e per voi. Oggi, tuttavia, quando ho cominciato l’orazione, ho pregato anche tutto – e con lacrime – per il diacono, perché Dio gli perdonasse, e subito ho visto la grazia di Dio scendere dall’alto sull’altare. Se dunque volete anche voi meritare una tale visione, offrite sacrifici simili a Dio sinceramente, dimenticando i torti ricevuti, perché altra strada che porti celere a Dio non esiste”».

[1] Il ripidion è un ventaglio cerimoniale utilizzato nel rito orientale e viene agitato dal diacono durante l’epiclesi e simboleggia gli angeli che gioiscono e svolazzano alla discesa dello Spirito Santo che santifica i Santi Doni presenti sull’altare.

[2] Lo sticharion è un paramento liturgico delle Chiese orientali più o meno analogo in funzione al camice della Chiesa occidentale.

diac. Antonio Calisi