La festa della Pentecoste

     dell’Archimandrita Donato Oliverio
 
     “Celebriamo la Pentecoste e la venuta dello Spirito, lo scadere della promessa e il compimento della speranza” (Stichirà del Vestro di Pentecoste).
 
     La discesa dello Spirito di verità e del Donatore di vita nella Pentecoste non è soltanto un fatto, conclusivo e iniziale insieme, ma è anche qualcosa di permanente, è una realtà costante, da cui dipende sostanzialmente l’esistenza stessa della Chiesa nei secoli.
     Questo carattere permanente della Pentecoste è sentito profondamente dalla coscienza della Chiesa, come lo esprimono i Padri e i Dottori e come la liturgia non cessa di mettere in luce.
     E’ questa l’esclamazione di S. Giovanni Crisostomo: “Il Cristo … ha detto dello Spirito Santo che egli rimarrà con voi nei secoli, e noi possiamo sempre celebrare la Pentecoste”.
     La Pentecoste inaugura il tempo in cui i santi sono messi in possesso del Regno. San Pietro (1 Pt 2,5-9) può adesso proclamare ai credenti che sta per compiersi la promessa fatta da Dio sul Sinai ad Israele, popolo tipo di tutti i chiamati: “Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19,6), cioè la Chiesa.
     Ecco il dono della Pentecoste, diversificato dalle “lingue di fuoco”: “Dove è la Chiesa, là è pure lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio, là è pure la Chiesa e ogni grazia” (S. Ireneo).
     Questa definizione sta alla base di tutta l’ecclesiologia; unita a quella che il grande Atanasio dà dell’economia divina, ci offre la sintesi del cristianesimo: “Il Verbo si è fatto carne, per offrire il suo corpo per tutti e affinché noi, partecipando al suo Spirito, potessimo essere divinizzati”.