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Una statuina nel Presepe: gli operatori sanitari e la dimensione del servizio

(A. T.)

“Vi ringraziamo di questo gesto simbolico che vuole ricordare medici, infermieri, cappellani ospedalieri che, nell’esercizio del dovere, sono morti”. Con queste parole S. E. mons. Donato Oliverio, Vescovo di Lungro degli Italo-Albanesi dell’Italia Continentale, ha accolto don Fabio De Santis, Consigliere Ecclesiastico per la Diocesi di Cosenza di Coldiretti, Maria Loredana Ambrosio, Referente Confartigianato Imprese Cosenza e Giuseppe Gigliotti, Segretario di zona per Coldiretti Castrovillari.

L’incontro, in cui i rappresentati in visita nel Palazzo Episcopale hanno fatto dono di una statuetta per il presepe raffigurante un infermiere, si inserisce all’interno dell’iniziativa, promossa da Coldiretti, con il Sacro Convento di Assisi, assieme alla testata l’Avvenire e Confartigianato, in cui si è voluto “esaltare il significato della tradizione del Presepe inserendo nella sacra rappresentazione una figura emblematica del periodo che stiamo vivendo”.

Proprio per sottolineare il servizio in cui ha sovrabbondato l’amore, di quei tanti infermieri, medici, operatori sanitari, che papa Francesco ha definito “santi della porta accanto” e che il cardinal Bassetti, dopo aver superato un critico momento dovuto all’infezione da Covid19, ha definito “angeli”, ben “200 statuine in ceramica ritraenti la figura dell’operatore sanitario, disegnate e costruite da un noto presepista” sono state poste nei Presepi delle diocesi d’Italia.

“Gli infermieri e gli operatori sanitari – ha continuato il Vescovo Donato – sono stati coloro che, nella fase emergenziale ma ancora oggi, non hanno orari e hanno prestato con tutto loro stessi il proprio servizio, donandosi con dedizione e sacrificio e mostrando al mondo il vero volto dell’amore e dell’umanità in Cristo”. Mons. Donato ha concluso l’incontro augurando che “questa crisi epidemica non ci chiuda in noi stessi, altrimenti ci ritroveremo come umanità disumanizzata e che l’esempio dei medici, infermieri, operatori sanitari che così tanto hanno fatto per l’uomo, possa far risorgere tra gli uomini una dimensione ormai andata perduta ad ogni livello della società: il senso del servizio”.

Riconciliazione per l’unità. Il 55° anniversario della reciproca cancellazione delle scomuniche tra Roma e Costantinopoli

(da L’Osservatore Romano, 9 dicembre 2020)

«L’espressione di una reciproca sincera volontà di riconciliazione» e «un invito a perseguire, in uno spirito di fiducia, di stima e di carità reciproche, il dialogo»: queste parole sono tra le più significative della Dichiarazione comune sottoscritta da Paolo VI e dal Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Atenagora, in occasione della cerimonia, il 7 dicembre 1965, con la quale si procedeva alla contemporanea e reciproca rimozione delle scomuniche tra Roma e Costantinopoli. Con questo atto venivano cancellate le scomuniche pronunciate oltre 900 anni prima, ma sempre valide, il 16 luglio 1054 dai legati pontifici inviati da Leone ix nella capitale dell’Impero bizantino per ottenere l’obbedienza ad alcune questioni dogmatiche contro Michele Cerulario, l’allora Patriarca di Costantinopoli; il 24 luglio dello stesso anno il Sinodo della Chiesa di Costantinopoli ne aveva pronunciate contro gli stessi legati e, di fatto, contro il Pontefice romano per riaffermare l’ortodossia delle posizioni e della figura del Patriarca Cerulario. Queste scomuniche, che non erano altro che l’ultima puntata della lotta per la definizione dei criteri con i quali stabilire l’autorità sulla Chiesa universale, hanno segnato i rapporti non solo tra i cristiani per la valenza politica che le scomuniche avevano assunto anche prima di essere pronunciate, mentre cresceva il clima di tensione tra Roma e Costantinopoli.

La cerimonia della reciproca rimozione si svolse contemporaneamente a Roma, alla vigilia della conclusione del concilio Vaticano II, di fronte a tutti i Padri conciliari, e a Costantinopoli, alla presenza del Sinodo proprio per sottolineare come questo atto non era un’iniziativa personale di due testimoni del Vangelo, ma un passo ufficiale della Chiesa di Roma e della Chiesa di Costantinopoli che insieme decidevano di compiere un gesto di fraternità, nel reciproco perdono, dopo secoli di scontri, di condanne e di silenzi. Un gesto che conteneva in sé un profondo valore simbolico, che andava ben oltre il significato teologico, proprio per il peso che le scomuniche del 1054 avevano assunto nelle relazioni tra cristiani nel corso dei secoli: erano stati celebrati due concili — quello di Lione (1274) e quello di Ferrara-Firenze (1439) — proprio per superare le divisioni che erano state determinate dalle scomuniche che pure avevano fotografato una situazione di tensioni e di sospetti che si era venuti creando nel corso dei secoli tra tradizioni, che avevano assunto forme particolari, pur radicate su un comune patrimonio dottrinale, a causa dei contesti geopolitici tanto diversi con i quali i cristiani si erano dovuti confrontare in Oriente e in Occidente. Sulle forme assunte dalle tradizioni cristiane nel primo millennio ci si è a lungo interrogati, spesso cercando giustificazioni storiche a dichiarazioni dottrinali anche se, negli ultimi decenni, soprattutto in ambito ecumenico, si sono aperte nuove prospettive per la lettura del primo millennio del cristianesimo, nonostante i limiti nella ricostruzione storico-teologica, determinati dalla disponibilità delle fonti, così diversa da luogo a luogo, da secolo a secolo. Al di là delle letture apologetiche che sono state date del 1054, era evidente che questo momento rappresentava una ferita per il corpo della Chiesa, tanto che nel corso dei secoli, oltre ai due Concili nominati, conclusi, soprattutto il secondo, con la sottoscrizione di testi di unione che hanno rappresentato un punto di riferimento per tanti cristiani, non erano mancate le voci di coloro che invocavano la ricostruzione della comunione tra Occidente e Oriente; queste voci, largamente minoritarie, erano state costrette a convivere, fino a venirne soffocate, con quelle, molto più rumorose, di coloro che preferivano leggere il 1054 come un «muro» con il quale tenere separate la verità e l’errore, rivendicando una storia di purezza che non teneva conto della molteplicità di tradizioni formatasi già nel primo millennio e diffuse nel secondo millennio della presenza cristiana anche in considerazione dei nuovi orizzonti missionari che avevano portato il cristianesimo a assumere una dimensione globale. Al rafforzamento di questo «muro» avevano contribuito anche tante vicende politiche, dalla quarta Crociata (1204) al «nazionalismo esasperato» dell’età contemporanea, solo per citarne due tra le più emblematiche anche per la loro attualità, offrendo nuove argomentazioni a coloro che pensavano all’unità in termini di uniformità nella sottomissione.

La cerimonia del 7 dicembre 1965 è stata uno dei primi frutti della nuova stagione nei rapporti tra Roma e Costantinopoli che si era aperta con l’incontro tra Paolo VI e il Patriarca Atenagora, a Gerusalemme, il 5 gennaio 1964, in un viaggio tanto fecondo per il cammino ecumenico, come testimoniano i tanti passi compiuti da cattolici e ortodossi per superare le divisioni che ancora impediscono la piena e visibile comunione: «a cinquant’anni dall’abbraccio di quei due venerabili Padri, riconosciamo con gratitudine e rinnovato stupore come sia stato possibile, per impulso dello Spirito Santo, compiere passi davvero importanti verso l’unità», come ha ricordato Papa Francesco in occasione del viaggio in Terra Santa, nel maggio 2014, per celebrare, insieme al Patriarca Bartolomeo, il 50° anniversario di quell’incontro.

Molto della cerimonia del 7 dicembre, senza voler togliere niente al coraggio di Atenagora, che si muoveva in un mondo ortodosso diviso al suo interno, anche per la presenza di tanti ortodossi all’interno dell’impero sovietico, si deve a Paolo VI che, con le sue parole e i suoi gesti, aveva chiaramente indicato alla Chiesa, a partire dai Padri riuniti a Roma per il concilio Vaticano II, quanto prioritaria egli considerasse la ricerca delle strade per la costruzione dell’unità visibile della Chiesa, così da mettere fine al tempo delle divisioni e delle contrapposizioni. Nella ricerca di queste strade si manifestava il desiderio di vivere la piena comunione con tutti i fratelli e le sorelle in Cristo, a cominciare da coloro che condividevano la propria confessione, senza creare alcun rapporto privilegiato, come alcuni tentarono di sostenere, anche alla luce dei rapporti tra Roma e Costantinopoli o tra Roma o Canterbury, aggiungendo divisioni a divisioni, mentre invece era il comandamento evangelico dell’amore per l’unità che guidava Papa Montini. In questo contesto si inserisce la cerimonia della contemporanea e reciproca cancellazione delle scomuniche che tanto aiutò i cristiani a considerare il passato non semplicemente come un peso nel cammino ecumenico, ma come una memoria da conoscere per promuovere una riconciliazione, radicata sulla conversione dei cuori, dal momento che «più stretta sarà la comunione [dei cristiani] col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo, tanto più intima e facile potranno rendere la fraternità reciproca» (Unitatis redintegratio n. 7).

di Riccardo Burigana

Vademecum Ecumenico. L’Intervento del Card. Kurt Koch alla Conferenza Stampa di Presentazione.

Vademecum”, etimologicamente significa “vieni con me”. Il documento che vi presentiamo oggi è stato pensato come una guida, una bussola, o come un compagno di viaggio, per il cammino ecumenico del Vescovo assieme alla sua diocesi. Vorrei brevemente presentare lo scopo, la preparazione e il contenuto di questo nuovo documento del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

Scopo

Il Vademecum ecumenico è nato da una richiesta avanzata dai membri e dai consultori del Dicastero durante la plenaria del 2016. Essi espressero l’auspicio di un breve documento che potesse incoraggiare, assistere e guidare i Vescovi cattolici nel loro servizio di promozione dell’unità dei cristiani attraverso il loro ministero.

Infatti, se il Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo del 1993 è il documento di riferimento per il compito ecumenico dell’intera Chiesa cattolica, si avvertiva la mancanza di un testo destinato ai Vescovi per l’adempimento delle loro responsabilità ecumeniche.

Il Vescovo non può considerare la promozione dell’unità dei cristiani semplicemente come uno dei tanti compiti del suo ministero, un compito che potrebbe o dovrebbe essere posposto ad altre priorità, apparentemente più importanti. L’impegno ecumenico del Vescovo non è una dimensione opzionale del suo ministero, bensì un dovere e un obbligo.

Preparazione

Il processo di preparazione del Vademecum è durato circa tre anni. Una prima bozza è stata preparata dagli officiali del Pontificio Consiglio con la consulenza di esperti, e poi presentata durante la plenaria del Dicastero nel 2018. Il testo è stato in seguito inviato a numerosi Dicasteri della Curia Romana, che vorrei qui calorosamente ringraziare per il loro prezioso contributo.

Le linee guida del Vademecum si basano sul Decreto Unitatis redintegratio del Concilio Vaticano II, sull’Enciclica Ut unum sint, e su due documenti del Pontificio Consiglioil Direttorio ecumenico e La dimensione ecumenica nella formazione di chi si dedica al ministero pastorale. Non si trattava, tuttavia, di ripetere questi documenti, ma piuttosto di proporre una breve sintesi, aggiornata e arricchita dai temi portati avanti nel corso degli ultimi pontificati, e sempre adottando il punto di vista del Vescovo: una guida che possa ispirare lo sviluppo dell’azione ecumenica e che sia di facile consultazione.

Il Santo Padre ha approvato il Vademecum e vi ha fatto riferimento nella sua Lettera del 24 maggio scorso in occasione del 25° anniversario dell’Enciclica Ut unum sint (1995). Ricordando che “il servizio dell’unità è un aspetto essenziale della missione del Vescovo”, Papa Francesco ha espresso l’auspicio che il Vademecum serva come “incoraggiamento e guida” all’esercizio delle responsabilità ecumeniche dei Vescovi.

Il Pontificio Consiglio si è dato premura di preparare la traduzione del Vademecum in diverse lingue. Per il momento sono pronte le versioni in inglese, italiano, francese, spagnolo, portoghese e tedesco.

La pubblicazione del Vademecum ecumenico segna non solo il 25° anniversario dell’Enciclica Ut unum sint, ma anche un altro importante anniversario per l’impegno ecumenico della Chiesa cattolica: il 60° anniversario dell’istituzione del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, avvenuta in seguito all’annuncio del Concilio Vaticano II. Per celebrare queste due ricorrenze si terrà questo pomeriggio un Atto accademico trasmesso in diretta streaming dall’Angelicum.

Contenuto

Per quanto riguarda il contenuto, il documento si articola in due parti. La prima parte, intitolata “La promozione dell’ecumenismo nella Chiesa cattolica”, espone ciò che viene richiesto alla Chiesa cattolica nell’adempimento della sua missione ecumenica. Infatti, come afferma il Vademecum “La ricerca dell’unità è innanzitutto una sfida per i cattolici” (6). In questa prima parte il Vademecum prende dunque in considerazione le strutture e le persone attive in campo ecumenico a livello diocesano e nazionale, la formazione ecumenica e l’uso dei mass media diocesani.

La seconda parte, intitolata “Le relazioni della Chiesa cattolica con gli altri cristiani”, esamina quattro modi in cui la Chiesa cattolica interagisce con altre comunità cristiane. Il primo modo è quello dell’ecumenismo spiritualeche, come dice il Concilio, è l’“anima del movimento ecumenico” (UR §8). Il Vademecum sottolinea in particolare l’importanza delle Sacre Scritture (20), dell’“ecumenismo dei santi” (22), della purificazione della memoria (24).

Il secondo modo è il dialogo della carità, che si occupa della promozione di una “cultura dell’incontro” a livello di contatti e di collaborazione quotidiani, alimentando e approfondendo la relazione che già unisce i cristiani in virtù del battesimo. Come dice San Giovanni Paolo II nell’Enciclica Ut unum sint: “il riconoscimento della fraternità […] va ben al di là di un atto di cortesia ecumenica e costituisce una basilare affermazione ecclesiologica” (UUS 42). Il Vademecum fa alcune raccomandazioni pratiche al riguardo; per esempio assistere, per quanto possibile e opportuno, alle liturgie di ordinazione o insediamento dei responsabili di altre Chiese, invitare i responsabili di altre Chiese a celebrazioni liturgiche e ad altri eventi significativi della Chiesa cattolica.

Il terzo modo è il dialogo della verità, che si riferisce alla ricerca della verità di Dio che i cattolici intraprendono insieme ad altri cristiani attraverso il dialogo teologico. Sono qui menzionati alcuni principi del dialogo come scambio di doni (27), del dialogo teologico che “non cerca un minimo comune denominatore teologico sul quale raggiungere un compromesso, ma si basa piuttosto sull’approfondimento della verità tutta intera” (28). Il documento menziona la sfida della ricezione che deve coinvolgere l’intera Chiesa nell’esercizio del sensus fidei (30).

Il quarto modo è il dialogo della vita. Con questa espressione si designano occasioni di scambio e di collaborazione con altri cristiani in tre campi principali: la cura pastorale, la testimonianza al mondo e la cultura. Per quanta riguarda l’ecumenismo pastorale il Vademecum affronta temi come la collaborazione nel campo della missione e della catechesi (34), i matrimoni misti (35), la communicatio in sacris (36). Nel campo dell’ecumenismo pratico il Vademecum tratta della collaborazione nel servizio al mondo (38), e del dialogo interreligioso come sfida ecumenica (39). Infine il documento tratta dell’ecumenismo culturale, in particolare mediante progetti comuni in ambito accademico, scientifico e artistico (41).

Il Vademecum non solo ricorda i principi dell’impegno ecumenico del Vescovo ma, alla fine di ciascuna sezione, riporta un elenco di “raccomandazioni pratiche”, che riassumono in termini semplici e diretti i compiti e le iniziative che il Vescovo può promuovere a livello locale e regionale. Infine, un’Appendice offre una breve descrizione dei partner della Chiesa cattolica nei dialoghi teologici internazionali bilaterali e multilaterali e dei principali frutti già raccolti.

Papa Francesco spesso ribadisce che l’unità si fa camminando; se camminiamo insieme con Cristo, Lui stesso realizzerà l’unità. “L’unità non verrà come un miracolo alla fine: l’unità viene nel cammino, la fa lo Spirito Santo nel cammino” (Basilica di San Paolo fuori le Mura, 25 gennaio 2014). Possa questo Vademecum essere un aiuto sul cammino dei Vescovi e di tutta la Chiesa cattolica verso la piena comunione per la quale il Signore ha pregato. Grazie.

Il Messaggio di Papa Francesco al Patriarca Bartolomeo in occasione della Festa di S. Andrea

( da L’Osservatore Romano, 30 novembre 2020)

 

Nel quadro del tradizionale scambio di delegazioni per le rispettive feste dei santi patroni — il 29 giugno a Roma per la celebrazione dei santi Pietro e Paolo e il 30 novembre a Istanbul per la celebrazione di sant’Andrea – il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ha guidato la delegazione della Santa Sede per la festa del Patriarcato ecumenico. A comporla erano il segretario del dicastero, il vescovo Brian Farrell, e il sottosegretario, monsignor Andrea Palmieri. A Istanbul, si è unito il nunzio apostolico in Turchia, l’a rcivescovo Paul F. Russell. La delegazione della Santa Sede ha preso parte alla solenne Divina liturgia presieduta dal patriarca ecumenico Bartolomeo I nella chiesa patriarcale di San Giorgio al Fanar. Il cardinale Koch ha consegnato al patriarca ecumenico un messaggio autografo del Santo Padre, di cui ha dato pubblica lettura alla conclusione della Divina liturgia. Ne pubblichiamo di seguito una traduzione dall’inglese.

A Sua Santità Bartolomeo
Arcivescovo di Costantinopoli
Patriarca Ecumenico

Nella festa dell’Apostolo Andrea, amato fratello di san Pietro e santo patrono del Patriarcato Ecumenico, esprimo con gioia a Sua Santità la mia vicinanza spirituale ancora una volta attraverso la delegazione. Mi unisco a lei nel rendere grazie a Dio per i ricchi frutti della divina provvidenza, manifesti nella vita di sant’Andrea.

Allo stesso modo prego affinché, attraverso la potente intercessione di nostro Signore, che lo chiamò per essere tra i suoi primi discepoli, benedica abbondantemente lei, i suoi fratelli nell’episcopato e i membri del Santo Sinodo, e tutto il clero, i monaci e i laici fedeli riuniti per la Divina Liturgia celebrata nella Chiesa Patriarcale di San Giorgio al Fanar. Richiamare alla mente la carità, lo zelo apostolico e la perseveranza di sant’Andrea, è una fonte d’incoraggiamento in questi tempi difficili e critici. Rendere gloria a Dio rafforza anche la nostra fede e la nostra speranza in colui che accolse nella vita eterna il santo martire Andrea, la cui fede resistette nell’ora di prova.

Ricordo con grande gioia la presenza di Sua Santità all’incontro internazionale per la pace tenutosi a Roma il 20 ottobre scorso, con la partecipazione di rappresentanti di varie Chiese e di altre tradizioni religiose. Oltre alle sfide poste dall’attuale pandemia, la guerra continua ad affliggere molte aree del mondo, mentre nuovi conflitti armati emergono per rubare le vite di innumerevoli uomini e donne. Indubbiamente tutte le iniziative prese da organismi nazionali e internazionali, volte a promuovere la pace, sono utili e necessarie, tuttavia conflitto e violenza non cesseranno mai finché tutte le persone non raggiungeranno una più profonda consapevolezza di avere una responsabilità reciproca come fratelli e sorelle. Alla luce di ciò, le Chiese cristiane, insieme con altre tradizioni religiose, hanno un dovere primario di offrire un esempio di dialogo, mutuo rispetto e cooperazione pratica.

Con profonda gratitudine a Dio, ho sperimentato questa fraternità in prima persona nei vari incontri che abbiamo condiviso. A tale proposito, riconosco che il desiderio di una sempre maggiore vicinanza e comprensione tra cristiani si è manifestato nel Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli prima che la Chiesa cattolica e altre Chiese s’impegnassero nel dialogo. Ciò si può chiaramente vedere nella lettera enciclica del Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico rivolta alle Chiese in tutto il mondo esattamente cento anni fa. Infatti, le sue parole risultano ancora oggi pertinenti: «Quando le diverse Chiese sono ispirate dall’amore e lo pongono prima di qualsiasi altra cosa nel loro giudizio degli altri e nella relazione gli uni verso gli altri, saranno capaci, invece di accrescere e ampliare i dissensi esistenti, di attenuarli e ridurli il più possibile; e promuovendo un costante interesse fraterno per la condizione, la stabilita e la prosperità delle altre Chiese, con il loro forte desiderio di vedere che cosa sta accadendo in quelle Chiese, e ottenendo una più accurata conoscenza di esse, e con la loro disponibilità a dare, ogni volta che si presenterà l’occasione, una mano di aiuto e di assistenza, allora faranno e otterranno molte cose buone per la gloria e a beneficio sia di se stesse sia dell’intero corpo cristiano, e per il progresso del tema dell’unione».

Possiamo rendere grazie a Dio per il fatto che le relazioni tra la Chiesa cattolica e il Patriarcato ecumenico sono cresciute molto nell’ultimo secolo, anche se continuiamo ad anelare all’obiettivo della restaurazione della piena comunione espressa attraverso la partecipazione allo stesso altare eucaristico. Sebbene gli ostacoli rimangano, sono fiducioso che camminando insieme nell’amore reciproco e perseguendo il dialogo teologico, raggiungeremo questo obiettivo. Tale speranza è basata sulla nostra fede comune in Gesù Cristo, inviato da Dio Padre per riunire tutti gli uomini in un corpo, e pietra d’angolo della Chiesa una e santa, santo tempio di Dio, nella quale tutti noi siamo pietre viventi, ognuno secondo il proprio particolare carisma o ministero conferitogli dallo Spirito Santo.

Con questi sentimenti, rinnovo i miei migliori auspici per la festa di sant’Andrea, e scambio con Sua Santità un abbraccio di pace nel Signore.

Roma, san Giovanni in Laterano, 30 novembre 2020

Francesco