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Parrocchia SS. Salvatore di Cosenza

Icona S. Francesco di Paola e S. Nilo da Rossano

Icona S. Francesco di Paola e S. Nilo da Rossano

A Cosenza, nel centro storico della città, sorge la chiesa di San Francesco di Paola. Accanto ad essa si trova la chiesa del Santissimo Salvatore. Un tempo appartenuta all’Arciconfraternita dei Sarti, dal 1978 venne affidata all’Eparchia di Lungro per la cura pastorale degli arbëreshë, italo-albanesi residenti in città.
La Parrocchia greco-cattolica, in cui si celebra secondo il rito bizantino, si sta progressivamente arricchendo di un consistente patrimonio iconografico. Le numerose icone, che segnano un percorso teologico-pastorale nel loro dispiegarsi lungo la navata, aiutano i fedeli a pregare, a partecipare alla vita liturgica e a contemplare il mistero divino.
Tra di esse ha da poco trovato posto un’icona raffigurante due santi calabresi la cui venerazione è fondamentale per la comunità arbëreshe: San Francesco di Paola e San Nilo da Rossano.

San Nilo, eminente rappresentante della tradizione monastica bizantina in Italia, nacque a Rossano nel 910 al tempo del dominio bizantino e della grande diffusione del monachesimo basiliano in zona.
Nilo, il cui nome di battesimo era Nicola, rimase orfano di genitori molto presto e fu affidato alle cure della sorella. Ancor in giovane età, si sposò ed ebbe una figlia. Però, compresa la propria vocazione monastica, dopo aver sistemato la situazione familiare, si unì ai monaci basiliani della valle del Mercurion, tra Calabria e Basilicata, assumendo il nome di Nilo.
La sua esperienza comunitaria durò circa tre anni, trascorsi i quali si ritirò in eremitaggio presso Rossano, con dedizione totale alla preghiera e allo studio e diventando maestro di nuovi monaci.
Per un certo periodo visse anche presso un tempio dedicato ai santi martiri Adriano e Natalia, oggi nel comune di S. Demetrio Corone. Successivamente si spostò nel principato di Capua, continuando ad educare monaci di rito orientale. Trascorse altri dieci anni presso Gaeta, quindi partì col discepolo Bartolomeo da Rossano alla volta di Roma, ma sulla strada, “per celeste ispirazione”, si fermarono presso la cappella detta Cryptoferrata, oggi Grottaferrata, dove decisero di edificare un’abbazia. S. Nilo, però, fece solo in tempo a indicarne il luogo, poi si spense nel vicino monastero greco di Sant’Agata il 26 settembre 1004.

San Francesco di Paola, patrono principale della Calabria, nacque a Paola nel 1416 e può a ragione essere considerato l’ultimo testimone del monachesimo italo-greco. La tradizione dice che Francesco trascorse la sua vita in pura santità e all’insegna della penitenza sin dalla nascita. Fin da fanciullo, ricevette da Dio il grande dono di operare miracoli per dare sollievo ai bisognosi e per testimoniare l’immenso Amore di Dio.
All’età di soli quattordici anni iniziò la vita eremitica nel bosco di Paola. Ben presto, altri si associarono a questa esperienza, riconoscendolo come guida spirituale, dando, di fatto, inizio all’Ordine dei Minimi.
Dopo aver fondato diversi conventi in Calabria e Sicilia e aver operato numerosi miracoli, la fama di santità di Francesco si diffuse rapidamente e presto raggiunse la corte di Luigi XI in Francia il quale, colpito da un grave male, invitò il santo alla sua corte, sperando in una guarigione miracolosa. Nonostante San Francesco avesse rigettato l’invito del sovrano, fu spinto da Papa Sisto IV a raggiungere la corte francese. In Francia il Santo visse circa venticinque anni e, dopo aver trascorso gli ultimi anni in serena solitudine, morì in il 2 aprile 1507.

Parrocchia SS. Salvatore di Cosenza

Icona del Nimfìos

Icona del Nimfìos

Nella chiesa del Santissimo Salvatore, nel centro storico di Cosenza, è venerata l’icona del Nimphios, dello Sposo, dipinta secondo la tradizione bizantina con pigmenti naturali a tempera d’uovo su foglia d’oro.

Il “Nimfios”, lo Sposo della Chiesa, è Colui che ha amato l’umanità a tal punto da essere umiliato e schernito, infatti vediamo Gesù vestito col manto rosso, con la canna tra le mani, i polsi legati da una rozza fune e la corona di spine: “Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo” (Mt 27, 28-30).
“Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E disse loro: «Ecco l’uomo!»” (Gv 19, 5).

Contempliamo nell’icona lo Sposo paziente e misericordioso mentre avanza volontariamente verso il sacrificio per purificare la Sposa nel sangue, per celebrare le nozze con la Chiesa e con l’umanità, con ogni anima.

Gesù è raffigurato in posizione frontale a mezzo busto in primo piano, con le mani legate e sovrapposte. Il suo capo, leggermente inclinato a sinistra, volge il suo sguardo di amore sconfinato verso il fedele che ne è attirato dal profondo del suo cuore. Il suo capo è cinto da una corona di spine.

Per noi cristiani, la corona di spine ricorda che Gesù è veramente il Re. Un giorno, l’intero universo si inchinerà a Gesù come “Re dei re e Signore dei signori” (Ap 19,16). La corona di spine e la sofferenza ad essa associata sono già passate e Gesù ha ricevuto la corona della quale è degno. Ora lo contempliamo coronato di gloria e d’onore per la morte che patì.
Nella corona di spine è presente dell’ulteriore simbolismo. Quando Adamo ed Eva peccarono, essi portarono il male nel mondo ed una maledizione su di esso “[…] maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te […]” (Genesi 3,17-18). I soldati romani, inconsapevolmente, presero un oggetto della maledizione e lo trasformarono in una corona per Colui il Quale ci avrebbe liberato da quella maledizione stessa. Cristo, con il Suo perfetto sacrificio d’espiazione, ci ha liberati dalla maledizione del peccato, del quale la spina costituisce il simbolo. Anche se intesa come denigrazione, la corona di spine fu, in effetti, un simbolo eccellente di chi era Gesù e di ciò che era venuto a compiere.
«…è cinto di corona il Re degli Angeli, di una falsa porpora è rivestito colui che avvolge il cielo di nubi, è schiaffeggiato colui che ha liberato Adamo nel Giordano. È confitto con chiodi lo Sposo della Chiesa. È trafitto di lancia il figlio della Vergine…»Dall‟Ora Nona dell‟Ufficio di Passione, in GSS, pp. 178-179.

Il mantello scarlatto è il simbolo della sua passione e nello stesso tempo della sua regalità. Egli è venuto a riscattare l’Adamo caduto e a rivestirlo con l’abito nuziale, con lo stato di grazia tutti gli invitati al “banchetto delle nozze dell’Agnello” che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello. (cf. Ap 19,8-10).
Questo è un forte richiamo alla veste dell’innocenza e di gloria perduta da Adamo e che il battesimo ci ridona.

Le mani legate richiama la sua volontaria passione: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca”. (Is 53,7). Legato, si consegna come nuovo il Isacco sull’altare del sacrificio. Le corde ai polsi del Signore, nondimeno, prendono anche una simbologia matrimoniale, riferimento gli anelli nuziali, anelli di una catena, con i quali lo Sposo si lega alla sua Sposa.

Gesù regge una canna nella mano destra, come fosse uno scettro regale, adoperata dai soldati per deridere la dichiarazione della sua regalità, prendendosi gioco del condannato simulando la sarcastica adorazione di un re, che ossequiarono con una formula ironica.
“Non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta” (Is 42, 3). L’uomo è quella canna “canna incrinata”. Il peccato dell’uomo ha forato le mani e i piedi del Salvatore sulla croce, tuttavia, Egli non si è vendicato delle offese e delle ferite prodotte dalla malvagità umana. Quando è stato ferito dalle azioni dell’uomo non ha pensato di “spezzare” quella canna, ma di recuperarla.

COSENZA - QISHA ARBËRESHE KOSENXË

Parrocchia Santissimo Salvatore – Famullia të Shejtit Shpëtimtar

Cosenza è il capoluogo della Provincia dove in 25 Paesi risiedono oltre 50.000 italo – albanesi, per cui l’antica “Città dei Bruzi” si può definire anche il “Capoluogo dell’Arbëria”.

 

La Chiesa del Santissimo Salvatore è situata in una delle zone più significative di Cosenza, in prossimità del punto in cui i due fiumi che attraversano la Città, il Busento e il Crati, diventano un’acqua sola. È stata fondata nel 1565 da Tommaso Telesio, Arcivescovo di Cosenza, fratello del filosofo Bernardino, e venne assegnata all’Arciconfraternita dei Sarti, con patrono Sant’ Omobono di Cremona, per le loro esigenze spirituali, che venivano offerte dai padri minimi dell’attiguo Convento di San Francesco di Paola, e per la loro sepoltura nella cripta sottostante la chiesa.

Nel maggio 1978 l’Arcivescovo di Cosenza, Mons. Enea Selis, su richiesta del Vescovo di Lungro, Mons. Giovanni Stamati, la concesse in comodato perché diventasse sede della parrocchia personale di rito bizantino-greco per gli Italo – Albanesi residenti in città e dintorni.

Nel decreto di istituzione della parrocchia “personale” per i fedeli di rito bizantino del Santissimo Salvatore, emanato da Mons. Giovanni Stamati, secondo vescovo dell’Eparchia di Lungro, viene fissata anche la festa patronale della Comunità Arbëreshe, stanziata nella città di Cosenza ma appartenente alla Diocesi di Lungro, nel giorno della grande festa dell’Ascensione al cielo del Nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, quaranta giorni dopo la Pasqua. Rende visibile questa specificità patronale la grande Icone dell’Ascensione posta dietro l’Altare, che ricorda a chiunque la contempla che Gesù è salito in cielo a preparare un posto per chiunque lo accoglie e ascolta e vive secondo i suoi insegnamenti.

Nel tempo l’Arciconfraternita dotò la chiesa di un pregevole arredo artistico visibile ancora ai nostri giorni: il portale di ingresso in pietra locale, con arcata a tutto sesto in stile rinascimentale, sulla cui architrave si trova la data di edificazione del 1567; un soffitto ligneo a lacunari intagliati, dipinto a vari colori, databile al secolo XVII; 15 affreschi con figure a grandezza naturale raffiguranti il Cristo Salvatore, la Vergine Madre e gli Apostoli, sistemati nella parte alta delle pareti, attribuiti al pittore calabrese Giovanni Battista Colimodio (1610-1672); l’arco trionfale interno, risalente al 1571, in pietra locale, sul quale è posto uno stemma raffigurante l’aquila imperiale austriaca e la scritta “Filippo d’Austria A.D. 1653”; una tela raffigurante l’Immacolata Concezione fra angeli risalente al 1847 dell’artista Raffaele Aloisio.

Nella parte bassa del luogo di culto è visibile la seconda fase storica della chiesa, a partire dal 1978, con un patrimonio iconografico di stile bizantino al servizio della liturgia, che completa con le immagini il messaggio espresso dalle parole nel canto liturgico.

A partire dall’iconostasi, in pietra di San Lucido scolpita da uno scalpellino locale e sulla quale trovano posto le 7 Icone di Demetrio Sukaràs di Salonicco, donate dall’Arcivescovo Metropolita ortodosso Panteleimon di Corinto «ai fratelli che sono in Calabria». A queste icone dal particolare significato storico ed ecumenico, si aggiungono le opere di Josif Droboniku, Luigi Elia Manes, Rita Chiurco, Ivan Polverari, Antonio Gattabria, Maria Grazia Uka, Ovidio Leuce, Gjergi Pano, Enzo Squillacioti, Rita Mantuano, Mariuccia Mazzotta, Mirella Muja, Biagio Capparelli che rendono la chiesa del Santissimo Salvatore un luogo che invita chiunque vi entra a contemplare la bellezza e ad affacciarsi al mistero di Dio per restarne affascinato.

Al di sotto del pavimento della chiesa del Santissimo Salvatore si trova la cripta dove, fino al 1800, venivano deposti i morti aderenti all’Arciconfraternita dei sarti.

Acquaformosa - Firmoza

Parrocchia San Giovanni Battista – Famullia Shën Janjit Pagëzor

Acquaformosa (Firmoza) ebbe origine intorno al 1501 da alcuni profughi albanesi provenienti dalla regione greca della Beozia sulle terre dell’allora fiorente Abbazia di Santa Maria di Leucio.

I primi abitanti edificarono le prime casupole intorno ad una chiesetta, dipendente da detta Abbazia, oggi identificabile con la cappella Kisha Ka Kunciuna (Santa Maria della Concezione). In essa, durante lavori di restauro, fatti eseguire dal parroco papàs Vincenzo Matrangolo, sono venuti alla luce alcuni affreschi bizantineggianti di notevole valore artistico, risalenti alla fine del 1400, nonché un pregevole soffitto ligneo a cassettoni.

 

La chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista, Santo patrono di Acquaformosa, i cui lavori ebbero inizio attorno al 1500, venne probabilmente ultimata già nel 1526. A causa di ingenti danni e forti carenze strutturali, fu demolita e ricostruita tra il 1936 e il 1938.

Attualmente, la peculiarità della Chiesa Matrice è l’interno interamente mosaicato con tessere dorate e policrome intagliate a mano. Il progetto musivo fa sì che nella navata laterale destra siano raffigurate le scene dell’Antico Testamento, mentre in quella navata centrale il Nuovo Testamento.

Anche l’iconostasi è stata recentemente realizzata in mosaico, come l’intera Chiesa.

Nella cripta vengono preziosamente custoditi alcuni ornamenti appartenuti alla ricca Abbazia Cistercense del 1200 insieme alla Madonna della Badia (1400), antichi e preziosi oggetti appartenenti alla Chiesa e l’Assunta risalente al 1520.

 

Entro un raggio di pochi chilometri a nord del paese, a quota 1464 metri s.l.m., fra i boschi e la natura incontaminata, sorge la Chiesa di Santa Maria del Monte. Mirabile monumento, risalente al periodo compreso tra i secoli VIII-X, questa custodisce un pregevole busto di Madonna che allatta con Bambino. Si tratta di una scultura in pietra del XVIII sec. di autore ignoto.

La chiesa è un interessante esempio di edilizia religiosa rurale, che custodisce tuttora al primo piano una serie di locali, detti “romitori”, un tempo utilizzati da eremiti e monaci.

La parrocchia di Acquaformosa e i fedeli devoti, provenienti da diversi paesi, vi si recano tre volte l’anno in pellegrinaggio. La grande festa che si svolge l’ultima domenica di luglio, vede la celebrazione della Divina Liturgia e la processione fino al luogo del ritrovamento della Sacra Immagine.

 

 

Il più recente luogo di culto del paese è il Santuario della Madonna della Misericordia, che sorge incastonata in un complesso architettonico parrocchiale utilizzato per attività varie. Nella chiesa sono iniziati dal 2018 dei lavori di iconizzazione, tuttora in corso, per cui si sta realizzando un ciclo di raffigurazioni parietali iconografiche, con scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, Apostoli e Santi e un ciclo sulla vita della Madre di Dio. Di particolare interesse le icone inerenti le parabole di Misericordia.

 

Castrovillari

Parrocchia di Santa Maria di Costantinopoli

Il 9 aprile 2003 con Decreto di Mons. Ercole Lupinacci veniva istituita la parrocchia “ad personam” Santa Maria di Costantinopoli a Castrovillari, e nominato parroco il Protopresbitero papàs Antonio Bellusci. L’operato del Papàs nel dare riconoscimento giuridico ecclesiale ai cinquemila arbëreshë presenti in città è stato perseguito con tenacia e dedizione.

La comunità arbëreshe di Castrovillari, dopo molti anni, finalmente aveva una rappresentanza giuridica ecclesiastica ricadente nella Diocesi di Lungro; ciò fu possibile grazie alla disponibilità del vescovo di Cassano all’Ionio, Mons. Domenico Graziani, favorevole all’istituzione di una parrocchia di rito bizantino in un territorio esclusivamente di rito romano. A Castrovillari gli arbëreshë accolsero con fervore tale concessione, anche perché già da anni, nella cappella dedicata ai Santi Medici Cosma e Damiano, di proprietà della famiglia Vigna, nel territorio della parrocchia di San Girolamo, la prima e la terza domenica del mese la Divina Liturgia veniva celebrata in rito bizantino.

L’anno 2009 ha visto, alla presenza di Mons. Ercole Lupinacci, del Vescovo di Cassano Vincenzo Bertolone e del sindaco Franco Blaiotta, in un quartiere della città, la posa della prima pietra della nuova Chiesa e contemporaneamente l’avvio dei lavori di realizzazione della casa canonica. Attualmente la Chiesa è in fase di ultimazione.

La pianta della chiesa è di stile architettonico bizantino a triconco, ossia con tre absidi; la cupola si eleva su un tamburo ed è in rame. L’Illuminazione interna è assicurata da tre finestre per ciascun’abside e quattro per ogni lato della Chiesa. La facciata centrale è anticipata da un triportico.
Il campanile ad arco ha, al suo interno, tre campane poste su due registri: nel superiore la campana presenta un’incisione della Madre di Dio in Trono (l’affresco presente nella Chiesa Madonna di Costantinopoli) e la scritta Santa Maria di Costantinopoli in Castrovillari; nel livello inferiore, la campana sinistra ha raffigurato lo stemma dell’Eparchia e la scritta Ercole Lupinacci, Vescovo; quella di destra la raffigurazione della Calabria e la scritta “Calabria lavori di Aldo Montalto – Colucci S.”.

All’interno è installata l’iconostasi in legno composta da due ordini. Il primo ordine contiene le icone del Cristo Pantrokrator, della Madre di Dio, di San Giuseppe e di San Giovanni Battista; quello superiore le icone dei dodici apostoli, disposte in due file da sei e separate dall’icona della cena mistica.Gli ordini sono separati da una base in cui vi è l’iscrizione greca: Ἅγιος ὁ Θεός, Ἅγιος ἰσχυρός, Ἅγιος ἀθάνατος, ἐλέησον ἡμᾶς”.
Sulla sommità è collocata l’icona del Cristo crocefisso con ai lati la madre di Dio e S. Giovanni evangelista.
Le porte diaconali contengono le icone dei santi diaconi Lorenzo e Stefano; mentre le porte regie l’Annunciazione. 

Pregevoli intagli ornano l’iconostasi: i rami e tralci della vite ai due estremi; due pavoni sopra le porte regie, oltre a figure floreali e frutti. Inoltre sotto l’icona di San Giuseppe e San Giovanni Battista è raffigurata l’aquila bicipite, mentre sotto le icone della Madre di Dio e del Cristo, la croce a forma greca.

Le icone sono state scritte dall’iconografo albanese Josif Droboniku.

Nell’abside è collocato l’altare di forma quadrata, sorretto da cinque colonne – rappresentanti Cristo ed i quattro evangelisti –  poste sopra una base marmorea.
A destra, nel nartece, è presente il trono vescovile; sulla sinistra è ubicato l’ambone al quale si accede per il tramite di alcuni gradini; significativa è l’aquila bicipite in legno che funge da leggio. Inoltre in basso si legge l’iscrizione “Ky është Biri im i zgjedhuri Atë dëgjoni”.
Attualmente la divina liturgia è celebrata ogni domenica alle 10.30 nella cappella Vigna, dedicata ai Santi Medici.

San Basile - Shën Vasili

Parrocchia San Giovanni Battista – Famullia Shën Janjit Pagëzor

San Basile è un comune di 1.025 abitanti. Sorge alle falde del Monte Pollino, nel versante nord/est della catena costiera nel Parco nazionale del Pollino.

Il paese, fondato verso il 1475-1480 da albanesi giunti in Italia per sfuggire alla conquista turca dei Balcani, sorse intorno al cenobio di San Basilio Craterete, da cui deriva anche il nome. I profughi ripopolarono la zona intorno al monastero basiliano (oggi Santuario) di Santa Maria Odigitria, cioè “Colei che indica la via”.

L’unica parrocchia presente è dedicata a San Giovanni Battista. La chiesa omonima è stata costruita dopo la venuta degli albanesi, verso la metà del XVIII secolo, ed inaugurata nel 1791. Lavori ben più ampi furono eseguiti sulla costruzione per interessamento della Curia Vescovile di Cassano, da cui San Basile dipendeva, conferendo alla chiesa uno stile che non è propriamente bizantino, ma tardo-barocco, a tre navate. L’esterno dell’edificio si mostra semplice, con un campanile non molto alto, dotato di campane costruite nel XVI secolo, sicuramente appartenute al Monastero di Colloreto. Per adattare lo stile alle particolari esigenze del rito bizantino, negli anni ‘30 è stato sostituito l’altare maggiore con un altare quadrato, sormontato da un baldacchino: una lapide all’interno della chiesa ci informa che l’inaugurazione dell’altare greco e dell’iconostasi avvenne il 21 novembre 1938 da Mons. Giovanni Mele, primo vescovo dell’Eparchia di Lungro, essendo parroco Giuseppe Schirò. Come in tutte le chiese bizantine, l’altare è separato dal resto della chiesa da un tramezzo ligneo detto “iconostasi”. Le icone dell’iconostasi centrale sono opera di Stefano Armakolas. Anche le due navate laterali terminano con due iconostasi dello stesso stile di quella centrale: quella di sinistra è stata dipinta da Maria Galie ed è dedicata a S. Giovanni Battista; quella di destra è dedicata alla Madre di Dio e le icone sono opera di Felice Fiore. Sono presenti in chiesa anche opere di altri iconografi: l’Archimandrita Mario Pietro Tamburi di San Basile, Luigi Manes, Josif Droboniku, Anna Marinaro. Sono presenti affreschi della vita di S. Giovanni Battista sulla navata centrale e affreschi di scene del Vangelo sulle pareti del Vima, tutte opere di Riccardo Turrà, eseguite nel 1955.

In paese, poi, è presente la chiesa di S. Anna che sorge sulla parte alta del paese. Si tratta di una piccola cappella di pochi metri quadrati con altare a muro, sovrastato da un affresco raffigurante S. Anna; altri affreschi si trovano nelle pareti laterali.

In via Veneto si trova un’altra piccola chiesetta denominata Kopela Don Çiçillit.

In parrocchia dal 1927 sono presenti le Rev. Suore “Piccole Operaie dei Sacri Cuori”, congregazione fondata dal Beato Francesco Maria Greco. Opera principale delle suore è l’educazione dei più piccoli con l’asilo parrocchiale e la catechesi.

 

Manifestazioni religiose:   

Gennaio
La Grande Santificazione delle acque
Febbraio
Triduo in preparazione alla Commemorazione di tutti i defunti
Maria Odigitria – 12 febbraio
Marzo-Aprile
Domenica I di Quaresima: Processione con le Icone
San Giuseppe, sposo di Maria – 19 Marzo
Grande e Santa Settimana.
Santa Pasqua.
Maggio-Giugno
Lunedì e martedì dopo Pentecoste: Festa dell’Odigitria;
San Giovanni Battista, in occasione del III ritrovamento del venerando Capo – 25 maggio Corpus Domini;
13 giugno: S. Antonio da Padova;
Agosto
Dormizione della SS. Madre di Dio – 14 agosto
Dicembre
Immacolata Concezione di Maria (concezione di S. Anna) – 8 Dicembre
Santo Natale.

La sera del 18 marzo in tutte la gjitonie (rioni) sono allestiti falò votivi in onore di San GiuseppeFukarecat. Fino a qualche decennio fa intorno al fuoco si cantava la kalimera della Passione di Cristo.
Il Giovedì Santo, al termine delle celebrazioni liturgiche, ci si riunisce in chiesa per il canto della Kalimera della Passione di Cristo, opera attribuita al Sac. Giulio Variboba. Gli uomini si riuniscono intorno all’altare mentre le donne stanno in chiesa, cantando tutta l’opera in albanese per oltre un’ora.
La Vallja, che anticamente si svolgeva il pomeriggio della domenica di Pasqua, il lunedì e il martedì, oggi si svolge solo il martedì. Secondo la tradizione, essa aveva luogo per rievocare e festeggiare una grande vittoria riportata da Skanderbeg sugli invasori turchi proprio nell’imminenza della Pasqua cristiana, la battaglia di Kruja il 24 aprile 1467.

Bari

BARI Parrocchia San Giovanni Crisostomo

A Bari, nella chiesa di San Giovanni Crisostomo, in Arco San Giovanni, a pochi passi dal castello normanno-svevo e dalla Basilica di San Nicola, ha vita una comunità cattolica di rito bizantino, a testimonianza dello stretto legame che Bari ancora conserva con il suo passato.

È la più antica chiesa di Bari ed è una comprovata testimonianza dei luoghi nicolaiani dato che nella Leggenda di Kiev, la chiesa di San Giovanni “Prodromos”, vicina al mare, viene indicata come primo luogo di deposizione delle reliquie; certamente si tratta proprio della chiesa di San Giovanni in seguito intitolata al Crisostomo.

Possiamo ritenere che le origini di questa chiesa risalgano al 1032, anno in cui il catapano del Thema di Longobardia Photos Argyros (dal luglio 1029 fino a giugno 1032) la fece edificare in località “puteum Greci”, fuori dalle mura della città.

Il 5 maggio del 1957 l’arcivescovo di Bari Enrico Nicodemo la costituì parrocchia di rito bizantino, affidandola alla comunità greca locale che ne cambiò la dedica in San Giovanni Crisostomo. Il 18 novembre 1964 vi fu una dichiarazione integrativa della Sacra Congregazione per le Chiese orientali con la quale si estendeva la giurisdizione del Proistamenos sui fedeli del medesimo rito che dimoravano in tutta la Puglia e nella provincia di Matera.

La facciata è composta da conci squadrati in pietra calcarea e termina con una cuspide interrotta a destra dalla presenza di un campanile a vela. Il portale, collocato in posizione centrale, è incorniciato da un arco con motivi a punta di diamante quasi totalmente rifatto sulla base di frammenti originari. Una finestra rettangolare posta in alto in posizione centrale riprende, nella cornice, lo stesso motivo decorativo del portale, anch’esso riproposto partendo da pochi frammenti originari superstiti.

L’interno è a navata unica coperta da capriate lignee. Sulla parete destra affiorano due archi a tutto sesto che poggiano su capitelli posti alla quota dell’attuale pavimento. Ciò fa ritenere che il livello originario dovesse trovarsi qualche metro al di sotto dell’odierno calpestio e che i due arconi sono quanto rimane dell’originario edificio. La chiesa, infatti, nella sua struttura originaria, era formata da tre navate: il primitivo impianto terminava con un’abside a cui fa esplicito riferimento documento del 1091. Gli interventi della seconda metà del XIII sec. che portarono il sollevamento della chiesa all’attuale livello, la ridussero ad un’unica navata, coperta da una volta a botte unghiata. A sinistra della navata è collocata una lastra in pietra del sec. XI che raffigura un leone alato ed un grifo che atterrano rispettivamente un caprone ed un cinghiale: essi si dispongono simmetricamente ai lati “dell’albero della vita”, il cui vertice racchiude una piccola croce bizantina. Il presbiterio, di struttura tardo medioevale che si affaccia nell’aula ecclesiale con un ampio arco ogivale, è coperto da una volta a crociera costolonata.

Con l’affidamento della chiesa alla comunità di rito bizantino, l’altare maggiore di stile barocco fu sostituito con uno a forma quadrata, preceduto da una iconostasi dipinta in tre ordini: nella parte superiore sono raffigurati i santi Apostoli che fanno da corona all’icona posta al centro dove è raffigurata la Deesis, cioè la supplica, con il Cristo in trono a ai lati la Madre di Dio e san Giovanni il Battista che rivolgono suppliche in favore dei fedeli, scene delle feste dell’anno liturgico distribuiti in pannelli e in quella inferiore quattro figure ieratiche: il Cristo Pantocrator, la Madre di Dio, San Giovanni Battista e San Giovanni Crisostomo. Al centro dell’abside vi è una tela della Madonna con le mani volte in alto ed il Divino Infante sul petto a firma di M. Buono 1968. Sulle porte diaconali sono dipinti due arcangeli e sulle porte regali è raffigurata l’Annunciazione.

Attualmente la Parrocchia è retta da Papas Antonio Magnocavallo, dell’Eparchia di Lungro, nominato Parroco nel 1975 da mons. Anastasio Ballestrero, Arcivescovo di Bari, per i fedeli orientali.