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Papa Francesco e la via della semplicità

 

Il nostro status assoluto di figli di Dio si esprime nell’essere umano in una vastità di interessi, di creatività, di adesione alla vita senza confini. Ogni figlio di Dio pero è troppo grande per rimanere chiuso nella sola dimensione orizzontale piatta, di una piattezza così straordinaria da far sembrare che una specie di stivale cosmico avesse calpestato la terra e la visibilità in tutte le direzioni e limitata unicamente al proprio io.
 
Dobbiamo avere il coraggio di guardare in alto. Di non cedere al pessimismo. Dobbiamo camminare, edificare, confessare. Come sono belle le parole del nuovo Papa.
 
Per ricordarci l’essenziale, spinto forse da un’infinita nostalgia della propria naturale e semplice condizione umana il Papa che viene dalla fine del mondo sembra deciso di vincere ogni artificio per continuare di essere, al culmine della sua vita sacerdotale, solo e semplicemente se stesso, ovvero Francesco: ‘il marchio’ della semplicità.
 
Il Papa Francesco ha trovato subito la chiave dei nostri cuori. La chiave non è l’efficienza, o la rettitudine, o l’intuizione, o la saggezza. Non è l’astuzia politica, la capacità di relazione, la pura intelligenza, la sola lealtà, la sola lungimiranza o una qualsiasi delle qualità che il mondo chiama virtù e mette alla prova. La chiave è una certa capacità alla base di tutte queste qualità, più o meno come la capacità di respirare e pompare il sangue sta alla base di tutti i pensieri e le azioni. La chiave è la semplicità.
 
Vorrei raccontarvi l’impressione che ho avuto, incontrando il Cardinale Jorge Bergoglio a Buenos Aires. Il vescovo, ora emerito, Ercole Lupinacci mi aveva incaricato di seguire saltuariamente i fedeli italo-albanesi emigrati in Argentina che non hanno dimenticato le loro origini e per l’amore della loro chiesa bizantina fanno tanti chilometri per riunirsi a pregare, specialmente in occasione e in corrispondenza delle feste paesane nella nuova chiesa costruita nella periferia della capitale.
 
Posso affermare che a Buenos Aires il cardinale è una legenda. I nostri fedeli mi raccontavano: Zò si sposta coi mezzi, vive in un piccolo appartamento, condivide i suoi averi coi poveri.
 
Quando, in una stanza in sua attesa ho visto una sedia importante, come un trono e uno sgabello mi sono seduto, come ovvio sullo sgabello. Appena entrato mi ha detto di averli preso il posto. Pensavo scherzasse, invece insistette di sedersi lui sulla piccola sedia quasi come per non sminuire l’accoglienza.
 
La nostra chiesa fu dedicata a San Giorgia (S.Jorge) e il Cardinale parve contento. Avevo il desiderio di mettere una sua foto ufficiale nella nostra chiesa, perché giuridicamente era lui il nostro Vescovo in quanto ordinario dei fedeli orientali in Argentina, tant’è vero che lo ricordavo sempre nella Divina Liturgia. Con mia sorpresa, mi disse di non avere una foto ufficiale, di non aver mai avuto ma se proprio insistevo potevo scattarli subito una per poi incorniciarla.
 
E’ molto bello sapere che abbiamo un Papa che conosce l’eparchia di Lungro e i suoi vescovi. Il Monsignor Lupinacci l’ha incontrato varie volte a Roma e Buenos Aires mentre Monsignor Oliverio a Roma. Il fatto di essere stato ordinario degli orientali in Argentina l’ha fatto avvicinare alla tradizione nostra e alle sue particolarità.
 
Dopo l’altro conclave del 2005 rispose alla domanda ‘abbiamo letto che a momenti uscivate Papa’ senza dire ne si ne no, (ovviamente non poteva) con un sorriso divertito: così scrivono i giornali.
 
Mi tocco molto la sua persona così semplice e profonda e mi dissi: ecco un padre Santo. Ora mi tocca cambiare l’ordine delle parole. Il Santo Padre. Un uomo di Dio. Basta aprire qualsiasi giornale e leggere dei suoi gesti semplici che ci commuovono. Il volto della chiesa è più attraente e accogliente.
 
P. ELIA HAGI