Messaggio di Natale del Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano, 2017.

Da Veritas in caritate. Informazioni dall’Ecumenismo in Italia 10/12 (2017), p. 53.

Care amiche e cari amici che abitate a Milano,
le Chiese cristiane di questa città desiderano condividere con voi una parola di augurio. In occasione del Natale, si accendono molte luci; una festa luminosa che rischia di accecare il nostro sguardo. I racconti evangelici della nascita di Gesù, al contrario, non abbagliano ma invitano a metterci in ricerca di un’umanità che sempre rischiamo di smarrire. A Natale, noi cristiani facciamo memoria della nascita di Gesù, di Colui che è Dio e si è fatto essere umano condividendo la sorte dei più deboli. Se ci mettiamo in ascolto del racconto dell’evangelista Matteo, la nascita di Gesù non presenta alcuna solennità.
Questo evento, che ai nostri occhi ha cambiato la storia, ci viene raccontato all’insegna del nascondimento. Maria si ritrova incinta prima di andare a vivere con Giuseppe. Costui, un uomo giusto che non voleva esporla a infamia, si propose di lasciarla segretamente (1,19). E fin qui possiamo anche capire quel desiderio di nascondere qualcosa che gli altri avrebbero giudicato negativamente. Ma il seguito del racconto insiste di nuovo su questo aspetto. Gesù, cercato dai magi d’Oriente, è nascosto ad Erode e a tutta Gerusalemme (2,3). Ricercato da Erode, deve nascondersi in Egitto (2,13-15) e poi in Galilea (2,23-25).
Nel seguito della narrazione, Matteo ricorda la parabola di Gesù, secondo la quale Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo, che un uomo, dopo averlo trovato, nasconde; e per la gioia che ne ha, va e vende tutto quello che ha, e compra quel campo (13,44). Le parabole stesse, secondo Matteo, sono raccontate per annunciare qualcosa di nascosto: aprirò in parabole la mia bocca; proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo (13,35). Gesù ne parla perché non c’è niente di nascosto che non debba essere scoperto, né di occulto che non debba essere conosciuto (10,26). Ma non tutti sono disposti ad accogliere questa parola.
La venuta di Gesù è qualcosa di nascosto, per nulla eclatante. La sua nascita non ha destato alcun interesse a quell’epoca. Ed anche oggi, in Occidente, dove gli anni si calcolano distinguendoli tra quelli prima e quelli dopo Cristo, la sua presenza ed il suo sogno continuano a rimanere nascosti in una storia che spesso è affollata da tanti idoli. Fare memoria della nascita di Gesù significa credere che nel campo insanguinato di questo nostro mondo è nascosto il tesoro del Regno di Dio. Credere che in quel bambino sono racchiuse le speranze di una nuova umanità. Credere che la sua Parola, per quanto inattuale e nascosta al giudizio della storia, sia quella luce di cui abbiamo bisogno.
Dio si nasconde perché vuole essere cercato. Lo dice bene un racconto della tradizione ebraica: Il nipote di Rabbi Baruch, Jehiel, giocava un giorno a nascondino con un altro ragazzo. Egli si nascose ben bene e attese che il compagno lo cercasse. Dopo aver atteso a lungo uscì dal nascondiglio, ma l’altro non si vedeva. Jehiel si accorse allora che quello non lo aveva mai cercato. Questo lo fece piangere; piangendo corse nella stanza del nonno e si lamentò del cattivo compagno di gioco. Gli occhi di Rabbi Baruch si riempirono allora di lacrime e disse: «Così dice anche Dio: Io mi nascondo, ma nessuno mi vuol cercare». (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).
Fare memoria di un Dio nascosto significa mettersi alla ricerca, come i Magi, senza presumere di avere e di sapere già. Significa farsi piccoli: Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto (Mt 11,25-26).
Non lasciamoci, allora, abbagliare dalle luci artificiali. Impariamo, piuttosto, il segreto che la volpe confida al Piccolo Principe: “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
(Antoine de Saint-Exupéry, il Piccolo Principe).