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Il patriarca Bartolomeo commenta l’enciclica «Fratelli Tutti»

 

L’intervista di Andrea Tornielli su «L’Osservatore Romano», 20 ottobre 2020, pp. 1/3

 

Santità, qual è stata la sua reazione alla lettura dell’enciclica «Fratelli tutti» di Papa Francesco?

Prima ancora di conoscere l’Enciclica Fratelli Tutti del nostro fratello Papa Francesco, abbiamo avuto la certezza che si sarebbe trattato di un altro esempio del suo incrollabile interesse per l’uomo, “l’amato di Dio”, attraverso la manifestazione della solidarietà verso tutti “gli affaticati e gravati” e i bisognosi, e che avrebbe contenuto proposte concrete per affrontare le grandi sfide del momento, ispirate dalla fonte inesauribile della tradizione cristiana, e che emergono dal suo cuore pieno d’amore. Le nostre aspettative sono state pienamente soddisfatte dopo aver completato l’analisi di questa interessantissima Enciclica, la quale non costituisce semplicemente un compendio o un sommario delle precedenti Encicliche o di altri testi di Papa Francesco, ma il coronamento e la felice conclusione di tutta la dottrina sociale. Siamo completamente d’accordo con l’invito–sfida di Sua Santità ad abbandonare l’indifferenza o anche il cinismo che governa la nostra vita ecologica, politica, economica e sociale in genere, come di unità centrate su sé stesse o disinteressate, e a sognare il nostro mondo come una famiglia umana unita, nella quale siamo tutti fratelli senza eccezioni. Con questo spirito esprimiamo l’auspicio e la speranza che l’Enciclica Fratelli tutti si riveli fonte di ispirazione e di dialogo fecondo attraverso l’assunzione di iniziative determinanti e azioni trasversali su un piano inter-cristiano, interreligioso e pan-umano.

Nel primo capitolo dell’Enciclica si parla delle “ombre ” che persistono nel mondo. Quali sono quelle che la preoccupano di più? E quale speranza ricaviamo dallo sguardo sul mondo che ci deriva dal Vangelo?

Con il suo acuto senso umanistico, sociale e spirituale, Papa Francesco individua e nomina le “ombre” nel mondo moderno. Parliamo di “peccati moderni”, anche se ci piace sottolineare che il peccato originale non è avvenuto nei nostri tempi e nella nostra epoca. Non idealizziamo affatto il passato. Giustamente, tuttavia, siamo turbati dal fatto che i moderni sviluppi tecnici e scientifici hanno rafforzato l’“hybris” dell’uomo. Le conquiste della scienza non rispondono alle nostre fondamentali ricerche esistenziali, né le hanno eliminate. Constatiamo anche che la conoscenza scientifica non penetra nelle profondità dell’anima umana. L’uomo lo sa, ma si comporta come se non lo sapesse.

Il Papa parla anche del persistente divario tra i pochi che possiedono molto e tanti che possiedono poco o nulla…

Lo sviluppo economico non ha ridotto il divario tra ricchi e poveri. Piuttosto, ha stabilito la priorità del profitto, a scapito della protezione dei deboli, e contribuisce all’esacerbazione dei problemi ambientali. E la politica è diventata serva dell’economia. I diritti umani e il diritto internazionale vengono elaborati e servono scopi estranei alla giustizia, alla libertà e alla pace. Il problema dei rifugiati, il terrorismo, la violenza di Stato, l’umiliazione della dignità umana, le moderne forme di schiavitù e l’epidemia di covid-19 stanno ora mettendo la politica davanti a nuove responsabilità e cancellano la sua logica pragmatistica.

Qual è, di fronte a questa situazione, la proposta del cristianesimo?

La proposta di vita della Chiesa è la svolta verso il “una cosa sola è necessaria”, e questa è l’amore, l’apertura all’altro e la cultura della solidarietà delle persone. Davanti al moderno arrogante “uomo-dio” predi – chiamo il “Dio-Uomo”. Di fronte all’economicismo, diamo posto all’economia ecologica e alla attività economica che si basa sulla giustizia sociale. Alla politica del “diritto del più forte”, opponiamo il principio del rispetto degli inalienabili diritti dei cittadini e del diritto internazionale. Di fronte alla crisi ecologica, siamo chiamati al rispetto del creato, alla semplicità e alla consapevolezza della nostra responsabilità di consegnare alla prossima generazione un ambiente naturale integro. Il nostro sforzo per affrontare questi problemi è indispensabile, ma sappiamo che colui che opera attraverso di noi è il Dio amico degli uomini.

Perché l’icona del Buon Samaritano è attuale oggi?

Cristo collega in particolare il “primo e grande comandamento” dell’amore verso Dio con il “secondo simile al primo” comandamento dell’amore per il prossimo (Mt 22, 36–40). E aggiunge: «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». E Giovanni il teologo è molto chiaro: «Chi non ama, non ha conosciuto Dio» (Gv 4, 8). La parabola del Buon Samaritano è vicina alla parabola del Giudizio (Mt 25, 31–46), è (Lc 10, 25–37) il testo biblico, che ci rivela tutta la verità del comandamento dell’amore. In questa parabola, il Sacerdote e il Levita rappresentano la religione, che è chiusa in sé stessa, si interessa solo di mantenere la “legge” inalterata, ignorando e trascurando in modo farisaico le «prescrizioni più gravi della legge» (Mt 23, 23), l’amore e il sostegno al prossimo. Il Buon Samaritano si rivela essere lo straniero filantropo vicino a colui che è stato percosso dai banditi e ferito. Alla domanda iniziale del dottore della legge «Chi è il mio prossimo?» (Lc 10, 29), Cristo risponde con una domanda: «Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?» (Lc 10, 36). Qui all’uomo non è permesso fare domande, ma gli viene chiesto e viene chiamato ad agire. È sempre necessario far emergere il prossimo, il fratello, davanti e nei confronti del lontano, dello straniero e del nemico. È da notare che nella parabola del Buon Samaritano, in accordo con la domanda del dottore della legge che mette alla prova Cristo «Che devo fare per ereditare la vita eterna» (Luca 10, 25), in risposta ad essa, il reale amore per il prossimo ha un chiaro riferimento soteriologico. Questo è anche il messaggio della pericope del Giudizio.

Su quali basi possiamo considerarci tutti fratelli e perché è importante scoprirsi tali per il bene dell’umanità?

I cristiani della Chiesa nascente si chiamavano tra loro “fratelli”. Questa fratellanza spirituale e Cristocentrica è più profonda della parentela naturale. Per i cristiani, tuttavia, fratelli non sono solo membri della Chiesa, ma tutti i popoli. La Parola di Dio ha assunto la natura umana e ha unito tutto in sé. Come tutti gli esseri umani sono creazione di Dio, così tutti sono stati inseriti nel piano della salvezza. L’amore del credente non ha confini e limiti. Infatti, abbraccia l’intero creato, è «l’ardere del cuore per tutta la creazione» (Isacco il Siro). L’amore per i fratelli è sempre incomparabile. Non si tratta di un sentimento astratto di simpatia verso l’umanità, che di solito ignora il prossimo. La dimensione della comunione personale e della fratellanza distingue l’amore e la fratellanza cristiana dall’umanesimo astratto.

Il Papa nell’Enciclica pronuncia una condanna molto forte della guerra e della pena di morte. Come commenta quel capitolo di «Fratelli tutti»?

A questo tema si è riferito il Santo e Grande Concilio della Chiesa Ortodossa (Creta, giugno 2016), tra gli altri, in questo modo: «La Chiesa di Cristo generalmente condanna la guerra, che considera il risultato del male e del peccato» (La Missione della Chiesa ortodossa nel mondo moderno, D, 1). Sulle labbra di ogni cristiano deve esserci lo slogan “Mai più guerra!”. E l’atteggiamento di una società nei confronti della pena di morte è un indicatore del suo orientamento culturale e della considerazione della dignità dell’uomo. Il degno sistema della cultura costituzionale europea, di cui uno dei pilastri fondamentali è l’idea dell’amore, come espressione delle sue credenze cristiane, impone di considerare che a ogni uomo deve essere data la possibilità di pentimento e di miglioramento, anche se è stato condannato per il peggior crimine. È pertanto conseguenza logica e morale che anche colui, che condanna la guerra, rifiuti la pena di morte.

«Nessuno si salva da solo. Pace e fraternità». Incontro Internazionale promosso dalla Comunità di Sant'Egidio nello "Spirito di Assisi"

Omelia di Papa Francesco durante la preghiera ecumenica per la pace nella basilica di Santa Maria in Aracoeli

È un dono pregare insieme. Ringrazio e saluto con affetto tutti voi, in particolare Sua Santità il Patriarca Ecumenico, il mio fratello Bartolomeo, il Reverendissimo Arcivescovo di Canterbury Justin e il caro Vescovo Heinrich, Presidente del Consiglio della Chiesa Evangelica in Germania. Purtroppo, il Reverendissimo Arcivescovo di Canterbury Justin non è potuto venire a causa della pandemia.

Il brano della Passione del Signore che abbiamo ascoltato si situa appena prima della morte di Gesù e parla della tentazione che si abbatte su di Lui, stremato sulla croce. Mentre vive il momento più alto del dolore e dell’amore, molti, senza pietà, scagliano contro di Lui un ritornello: «Salva te stesso!» (Mc 15, 30). È una tentazione cruciale, che insidia tutti, anche noi cristiani: è la tentazione di pensare solo a salvaguardare sé stessi o il proprio gruppo, di avere in testa soltanto i propri problemi e i propri interessi, mentre tutto il resto non conta. È un istinto molto umano, ma cattivo, ed è l’ultima sfida al Dio crocifisso.

Salva te stesso. Lo dicono per primi «quelli che passavano di là» (v. 29). Era gente comune, che aveva sentito Gesù parlare e operare prodigi. Ora gli dicono: «Salva te stesso, scendendo dalla croce». Non avevano compassione, ma voglia di miracoli, di vederlo scendere dalla croce. Forse anche noi a volte preferiremmo un dio spettacolare anziché compassionevole, un dio potente agli occhi del mondo, che s’impone con la forza e sbaraglia chi ci vuole male. Ma questo non è Dio, è il nostro io. Quante volte vogliamo un dio a nostra misura, anziché diventare noi a misura di Dio; un dio come noi, anziché diventare noi come Lui! Ma così all’adorazione di Dio preferiamo il culto dell’io. È un culto che cresce e si alimenta con l’indifferenza verso l’altro. A quei passanti, infatti, Gesù interessava solo per soddisfare le loro voglie. Ma, ridotto a uno scarto sulla croce, non interessava più. Era davanti ai loro occhi, ma lontano dal loro cuore. L’indifferenza li teneva distanti dal vero volto di Dio.

Salva te stesso. In seconda battuta si fanno avanti i capi dei sacerdoti e gli scribi. Erano quelli che avevano condannato Gesù perché rappresentava per loro un pericolo. Ma tutti siamo specialisti nel mettere in croce gli altri pur di salvare noi stessi. Gesù, invece, si lascia inchiodare per insegnarci a non scaricare il male sugli altri. Quei capi religiosi lo accusano proprio a motivo degli altri: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso!» (v. 31). Conoscevano Gesù, ricordavano le guarigioni e le liberazioni che aveva compiuto e fanno un collegamento malizioso: insinuano che salvare, soccorrere gli altri non porta alcun bene; Lui, che si era tanto prodigato per gli altri, sta perdendo sé stesso! L’accusa è beffarda e si riveste di termini religiosi, usando due volte il verbo salvare. Ma il “vangelo” del salva te stesso non è il Vangelo della salvezza. È il vangelo apocrifo più falso, che mette le croci addosso agli altri. Il Vangelo vero, invece, si carica delle croci degli altri.

Salva te stesso. Infine, anche quelli crocifissi con Gesù si uniscono al clima di sfida contro di Lui. Com’è facile criticare, parlare contro, vedere il male negli altri e non in sé stessi, fino a scaricare le colpe sui più deboli ed emarginati! Ma perché quei crocifissi se la prendono con Gesù? Perché non li toglie dalla croce. Gli dicono: «Salva te stesso e noi!» (Lc 23, 39). Cercano Gesù solo per risolvere i loro problemi. Ma Dio non viene tanto a liberarci dai problemi, che sempre si ripresentano, ma per salvarci dal vero problema, che è la mancanza di amore. È questa la causa profonda dei nostri mali personali, sociali, internazionali, ambientali. Pensare solo a sé è il padre di tutti i mali. Ma uno dei malfattori osserva Gesù e vede in Lui l’amore mite. E ottiene il paradiso facendo una sola cosa: spostando l’attenzione da sé a Gesù, da sé a chi gli stava a fianco (cfr. v. 42).

Cari fratelli e sorelle, sul Calvario è avvenuto il grande duello tra Dio venuto a salvarci e l’uomo che vuole salvare sé stesso; tra la fede in Dio e il culto dell’io; tra l’uomo che accusa e Dio che scusa. Ed è arrivata la vittoria di Dio, la sua misericordia è scesa sul mondo. Dalla croce è sgorgato il perdono, è rinata la fraternità: «la Croce ci rende fratelli» (Benedetto XVI, Parole al termine della Via Crucis, 21 marzo 2008). Le braccia di Gesù, aperte sulla croce, segnano la svolta, perché Dio non punta il dito contro qualcuno, ma abbraccia ciascuno. Perché solo l’amore spegne l’odio, solo l’amore vince fino in fondo l’ingiustizia. Solo l’amore fa posto all’altro. Solo l’amore è la via per la piena comunione tra di noi.

Guardiamo al Dio crocifisso, e chiediamo al Dio crocifisso la grazia di essere più uniti, più fraterni. E quando siamo tentati di seguire le logiche del mondo, ricordiamo le parole di Gesù: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8, 35). Quella che agli occhi dell’uomo è una perdita è per noi la salvezza. Impariamo dal Signore, che ci ha salvati svuotando sé stesso (cfr. Fil 2, 7), facendosi altro: da Dio uomo, da spirito carne, da re servo. Invita anche noi a “farci altri”, ad andare verso gli altri. Più saremo attaccati al Signore Gesù, più saremo aperti e “universali”, perché ci sentiremo responsabili per gli altri. E l’altro sarà la via per salvare sé stessi: ogni altro, ogni essere umano, qualunque sia la sua storia e il suo credo. A cominciare dai poveri, dai più simili a Gesù Cristo. Il grande arcivescovo di Costantinopoli San Giovanni Crisostomo scrisse che «se non ci fossero i poveri, in larga parte sarebbe demolita la nostra salvezza» (Sulla II Lettera ai Corinzi, XVII, 2). Il Signore ci aiuti a camminare insieme sulla via della fraternità, per essere testimoni credibili del Dio vero vivo.

Bulgaria: traslate reliquie di Clemente e Potito nella Basilica di Santa Sofia

 

Da vaticannews.va (leggi l’articolo qui)

Nella capitale bulgara si è svolta oggi la celebrazione solenne per la traslazione dei frammenti sacri dei due martiri nell’antica basilica paleocristiana che ha dato il nome alla città. Le reliquie sono state donate lo scorso febbraio da Papa Francesco al Metropolita di Sofia e Patriarca della Chiesa ortodossa di Bulgaria.

Il Messaggio di Natale del Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano, 12 dicembre 2018.

Da Veritas in caritate. Informazioni dall’Ecumenismo in Italia 11/12 (2018), p. 49.

A un tratto vi fu con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva “Gloria a Dio nei luoghi altissimi e pace in terra agli uomini che egli gradisce” Luca 2,14-15 “Benedico le Forze Armate… di strumenti musicali” don Tonino Bello
Natale è l’annuncio di un festoso e pacifico golpe dal cielo, il golpe della speranza. L’esercito pacifico degli angeli viene, armato di arpe, cetre e trombe, a portare ai poveri il dono di un riscatto ad opera di un Re di giustizia, di un Principe di pace.
Faraone, Cesare e Erode, devono lasciare posto al neonato re Messia: Gesù il figlio di Dio.
250 volte nella Bibbia si parla di il Signore degli eserciti. Ma adesso si svela definitivamente il suo carattere singolare. Questo esercito non è munito di costose armi di sterminio di massa, ma di strumenti musicali, per unire il coro del cielo con la melodia dei canti notturni dei pastori che custodivano il gregge. E’ un esercito che non crea terrore ma delizia nel cuore.
“Sia pace in terra, – cessi ogni guerra: nato è Cristo il Salvator”, riecheggiano le parole di un antico canto natalizio, esso stesso risonanza del canto angelico.
Nella tradizione bizantina si fa corrispondere al coro angelico, quello dei pastori. Così scrive Sever J. Voicu “Il testo del Vangelo afferma che i pastori “stavano all’aperto”. Ma, con un gioco di parole intraducibili, lo stesso verbo greco può indicare, come fanno alcuni testi liturgici, che “suonavano il flauto all’aperto” e, per estensione, che “cantavano all’aperto”. In questo modo, la tradizione bizantina stabilisce un parallelo fra il coro degli angeli, nei cieli, e le voci dei pastori, sulla terra”.
Ma gli Erode della terra non godono di questa melodia. Chi costruisce il potere non sul servizio, ma sul dominio, vede in questo annuncio una minaccia all’ordine esistente. Nessuno più di Erode capisce veramente chi sia questo Messia. Così sulla venuta del Messia come un bambino disarmato e bisognoso di cure, si stende da subito la sinistra ombra di morte che produrrà una scia di sangue fino a quel tragico Venerdì di Pasqua.
Non ci meravigliamo perciò che il Natale sia occasione di trame occulte, di mobilitazione del male, di organizzazione della menzogna assurta a sistema.
Quando al vescovo di Molfetta, Tonino Bello, morto 25 anni fa, fu chiesto di benedire un esercito in occasione di una pubblica cerimonia civile, egli disse: “Benedico le forze armate… di strumenti musicali”. La parola di Dio sulla nostra bocca produce necessarie torsioni della lingua, inattesi cambiamenti semantici, un nuovo modo di pensare a cui corrisponde un nuovo modo di parlare.
Se l’esercito della speranza canta con i poveri, la chiesa di Cristo è chiamata a rispondere all’antifona, con la benedizione di chi opera quotidianamente per la gioia e per la vita.
Perciò: Buon Natale a chi accoglie!
Buon Natale all’esercito dei volontari della solidarietà che in Italia e nel mondo si offrono per la difesa della pace, l’affermazione della giustizia e la salvaguardia del creato. Le loro voci si accordano in una cosmica sinfonia che alimenta la speranza di tutti.
Buon Natale a chi annuncia il Vangelo e a chi, con cuore gioioso, lo riceve nel proprio cuore e nella propria casa.
Benvenuto Gesù!

Chiesa Anglicana, Chiesa Apostolica Armena, Chiesa Apostolica Ortodossa della Georgia, Chiesa Avventista del 7° Giorno, Chiesa Cattolica Ambrosiana, Chiesa Copta Ortodossa d’Egitto, Chiesa Copta Ortodossa d’Eritrea, Chiesa Copta Ortodossa d’Etiopia, Chiesa Cristiana Protestante (Luterana e Riformata), Chiesa Evangelica Battista, Chiesa Evangelica Metodista, Chiesa Evangelica Valdese, Chiesa di Svezia, Chiesa Ortodossa del Patriarcato di Costantinopoli, Chiesa Ortodossa Bulgara del Patriarcato di Sofia, Chiesa Ortodossa Romena del Patriarcato di Bucarest, Chiesa Ortodossa Russa del Patriarcato di Mosca, Chiesa Ortodossa Serba del Patriarcato di Belgrado, Esercito della Salvezza

Messaggio di Natale del Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano, 2017.

Da Veritas in caritate. Informazioni dall’Ecumenismo in Italia 10/12 (2017), p. 53.

Care amiche e cari amici che abitate a Milano,
le Chiese cristiane di questa città desiderano condividere con voi una parola di augurio. In occasione del Natale, si accendono molte luci; una festa luminosa che rischia di accecare il nostro sguardo. I racconti evangelici della nascita di Gesù, al contrario, non abbagliano ma invitano a metterci in ricerca di un’umanità che sempre rischiamo di smarrire. A Natale, noi cristiani facciamo memoria della nascita di Gesù, di Colui che è Dio e si è fatto essere umano condividendo la sorte dei più deboli. Se ci mettiamo in ascolto del racconto dell’evangelista Matteo, la nascita di Gesù non presenta alcuna solennità.
Questo evento, che ai nostri occhi ha cambiato la storia, ci viene raccontato all’insegna del nascondimento. Maria si ritrova incinta prima di andare a vivere con Giuseppe. Costui, un uomo giusto che non voleva esporla a infamia, si propose di lasciarla segretamente (1,19). E fin qui possiamo anche capire quel desiderio di nascondere qualcosa che gli altri avrebbero giudicato negativamente. Ma il seguito del racconto insiste di nuovo su questo aspetto. Gesù, cercato dai magi d’Oriente, è nascosto ad Erode e a tutta Gerusalemme (2,3). Ricercato da Erode, deve nascondersi in Egitto (2,13-15) e poi in Galilea (2,23-25).
Nel seguito della narrazione, Matteo ricorda la parabola di Gesù, secondo la quale Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo, che un uomo, dopo averlo trovato, nasconde; e per la gioia che ne ha, va e vende tutto quello che ha, e compra quel campo (13,44). Le parabole stesse, secondo Matteo, sono raccontate per annunciare qualcosa di nascosto: aprirò in parabole la mia bocca; proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo (13,35). Gesù ne parla perché non c’è niente di nascosto che non debba essere scoperto, né di occulto che non debba essere conosciuto (10,26). Ma non tutti sono disposti ad accogliere questa parola.
La venuta di Gesù è qualcosa di nascosto, per nulla eclatante. La sua nascita non ha destato alcun interesse a quell’epoca. Ed anche oggi, in Occidente, dove gli anni si calcolano distinguendoli tra quelli prima e quelli dopo Cristo, la sua presenza ed il suo sogno continuano a rimanere nascosti in una storia che spesso è affollata da tanti idoli. Fare memoria della nascita di Gesù significa credere che nel campo insanguinato di questo nostro mondo è nascosto il tesoro del Regno di Dio. Credere che in quel bambino sono racchiuse le speranze di una nuova umanità. Credere che la sua Parola, per quanto inattuale e nascosta al giudizio della storia, sia quella luce di cui abbiamo bisogno.
Dio si nasconde perché vuole essere cercato. Lo dice bene un racconto della tradizione ebraica: Il nipote di Rabbi Baruch, Jehiel, giocava un giorno a nascondino con un altro ragazzo. Egli si nascose ben bene e attese che il compagno lo cercasse. Dopo aver atteso a lungo uscì dal nascondiglio, ma l’altro non si vedeva. Jehiel si accorse allora che quello non lo aveva mai cercato. Questo lo fece piangere; piangendo corse nella stanza del nonno e si lamentò del cattivo compagno di gioco. Gli occhi di Rabbi Baruch si riempirono allora di lacrime e disse: «Così dice anche Dio: Io mi nascondo, ma nessuno mi vuol cercare». (Martin Buber, I racconti dei Chassidim).
Fare memoria di un Dio nascosto significa mettersi alla ricerca, come i Magi, senza presumere di avere e di sapere già. Significa farsi piccoli: Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto (Mt 11,25-26).
Non lasciamoci, allora, abbagliare dalle luci artificiali. Impariamo, piuttosto, il segreto che la volpe confida al Piccolo Principe: “Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
(Antoine de Saint-Exupéry, il Piccolo Principe).

Ecclesia semper reformanda est. Messaggio delle Chiese Cristiane riunite ad Assisi al termine dell’Anno commemorativo della Riforma.

Da Veritas in caritate. Informazioni dall’Ecumenismo in Italia 10/12 (2017), p. 54.

Care sorelle e cari fratelli in Cristo,
le chiese cristiane che si sono riunite ad Assisi nei giorni 20-22 novembre 2017 al termine di un anno di commemorazione comune del 500° anniversario dell’inizio della Riforma protestante, vi inviano questo messaggio per comunicarvi quanto discusso ed approfondito in uno spirito di fraternità cristiana e per ampliare il dialogo tra le chiese.
La prima parola che vorremmo comunicarvi è in realtà un pensiero rivolto ai tanti cristiani che in Medio Oriente e in diversi altri luoghi del mondo vengono perseguitati perché proclamano il loro amore irrinunciabile per Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. La loro testimonianza, che giunge talvolta fino al martirio di sangue, è per tutti e tutte noi una vera predicazione dell’Evangelo che ci richiama a un risveglio delle nostre coscienze e del nostro discepolato, invitandoci a chiedere per tutti, in ogni luogo, la libertà di culto come un diritto fondamentale.
Nel convegno di Assisi ci siamo incontrati come rappresentanti di varie chiese, appartenenti a diverse tradizioni d’Oriente e di Occidente. Questo è stato possibile per il cammino che in questi anni ha coinvolto tanti cristiani e tante cristiane in Italia, come in tante altre parti del mondo, per promuovere il supremo testamento di Gesù Cristo, “che tutti siano una cosa sola” (cfr. Gv 17,11). Tutte queste chiese si sono confrontate sul medesimo tema, sull’urgenza, cioè, di dare una comune testimonianza cristiana al fine di giungere a una piena riconciliazione della famiglia cristiana, così da rendere sempre più efficace l’annuncio della Parola di Dio nella società italiana del XXI secolo.
Per fare questo tutti ci siamo sottoposti all’autorità della Parola di Dio, alla volontà e alla misericordia dell’Onnipotente. La divisione dei cristiani è uno scandalo e avvertiamo con chiarezza il peso delle colpe di tutti, delle responsabilità di ciascuno nel non essere stati in grado di procedere più speditamente nella costruzione della piena e visibile comunione, segno dell’unità nella diversità alla quale tutti i cristiani sono chiamati. Oggi rendiamo grazie a Dio in Cristo Gesù perché ha voluto farci la grazia di sperimentare il soffio del suo Spirito Santo che fa ogni cosa nuova. Ricordiamo con gratitudine tutti coloro che da già dall’inizio del secolo scorso hanno lavorato per promuovere l’unità dei cristiani, sia a livello internazionale – attraverso anche le Commissioni di dialogo teologico – sia a livello nazionale. Le cose nuove di Dio sono iniziate non solo per noi ma anche in noi e così si aprono nuove strade di comunione.
Pertanto vi invitiamo a riflettere su alcune questioni che nascono da quanto ci siamo detti ad Assisi. Vi chiediamo di contribuire a rafforzare il dialogo a livello locale per favorire la crescita di una testimonianza quotidiana della dimensione ecumenica della fede cristiana:
1. Ogni chiesa è chiamata, in ogni epoca, a conformarsi alla Parola di Dio, perché ogni riforma della chiesa è opera di Dio che chiama a vivere le cose nuove dello Spirito. Cristo è il cambiamento, in Lui quello che prima non era possibile ora è realtà. Come vivere le cose nuove di Dio all’interno delle nostre tradizioni? Siamo consapevoli che Dio ci chiama ogni giorno a conversione?
2. La libertà è uno dei più grandi doni di Dio all’uomo. Essa rende ogni essere umano capace di progredire verso la perfezione spirituale, ma allo stesso tempo include il pericolo della disobbedienza, come indipendenza da Dio, quindi della caduta, da cui derivano le tragiche conseguenze del male nel mondo. Dio invece rimane fedele all’Evangelo, la sua fedeltà precede e fonda quella dei credenti. Egli è fedele alle sue promesse, al suo patto di grazia già iniziato nella storia della salvezza con il popolo d’Israele; Egli è fedele al fatto che, se «quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita», come insegna l’Apostolo San Paolo (Lettera ai cristiani di Roma, 5,10). Noi dunque proponiamo con convinzione questa fedeltà, l’amore assoluto di Dio che si rivela nel Signore Crocifisso, come la sola via per un mondo di pace, di giustizia, di libertà e di solidarietà tra gli esseri umani e tra i popoli, la cui unica e ultima misura è sempre il Signore, “Agnello immolato” per la vita del mondo (cfr. Ap 5,12), ossia l’Amore infinito del Dio Uno e Trino. Come viviamo questa condizione di libertà in Cristo e di servizio reciproco?
3. La testimonianza evangelica e l’impegno sociale delle chiese oggi devono confrontarsi con la realtà multiculturale e interreligiosa senza paure e senza preconcetti, perché siamo chiamati a rispondere per fede alle domande degli uomini e delle donne di oggi che cercano speranza e salvezza. Come stiamo nella società in quanto cristiani? Come ci stiamo con quello spirito di pace che ci dovrebbe caratterizzare?
4. Possiamo camminare insieme, chiedendoci come predicare la Parola di Dio nell’oggi senza cadere nella tentazione di predicare l’oggi. Come possiamo interloquire con la cultura rimanendo una voce critica e profetica?
5. Cosa intendiamo quando predichiamo Cristo crocifisso e risorto? Gesù è ancora scandalo e follia?
In questo Spirito, vi invitiamo a accogliere e condividere queste parole nelle vostre comunità e con le sorelle e i fratelli in Cristo che vivono accanto a voi, a partire dalla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani del prossimo gennaio.
Vi salutiamo nel nome di colui che ci riconcilia tutti in un solo corpo (cfr. Ef 2,16).

Chiesa Apostolica Armena – Chiesa Cattolica Romana – Chiesa d’Inghilterra – Chiesa Ortodossa: Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e Malta (Patriarcato Ecumenico), Diocesi Ortodossa Romena in Italia – Federazione delle Chie-se Evangeliche in Italia (Battisti, Esercito della Salvezza, Luterani, Metodisti e Valdesi).
La Chiesa Copta Ortodossa e la Chiesa Cristiana Avventista del 7° Giorno aderiscono in qualità di osservatori.

Assisi, 22 novembre 2017.

Comunicato congiunto del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e della Federazione Luterana Mondiale, a conclusione dell’anno commemorativo comune della Riforma.

 

Da Veritas in caritate. Informazioni dall’Ecumenismo in Italia 10/10 (2017), pp. 46-47.

Oggi, 31 ottobre 2017, ultimo giorno dell’anno della Commemorazione comune della Riforma, siamo molto grati per i doni spirituali e teologici ricevuti tramite la Riforma; si è trattato di una commemorazione condivisa non solo tra noi ma anche con i nostri partner ecumenici a livello mondiale. Allo stesso tempo, abbiamo chiesto perdono per le nostre colpe e per il modo in cui i cristiani hanno ferito il Corpo del Signore e si sono offesi reciprocamente nei cinquecento anni dall’inizio della Riforma ad oggi.
Noi, luterani e cattolici, siamo profondamente riconoscenti per il cammino ecumenico che abbiamo intrapreso insieme negli ultimi cinquant’anni. Questo pellegrinaggio, sostenuto dalla nostra comune preghiera, dal culto divino e dal dialogo ecumenico, ha condotto al superamento dei pregiudizi, all’intensificazione della comprensione reciproca e al conseguimento di accordi teologici decisivi. Alla luce di così tante benedizioni lungo il nostro percorso, solleviamo i nostri cuori nella lode del Dio uno e trino per la grazia ricevuta.
Oggi vogliamo ricordare un anno segnato da eventi ecumenici di incisiva importanza, un anno iniziato il 31 ottobre 2016 con la preghiera congiunta luterana-cattolica celebrata a Lund, in Svezia, alla presenza dei nostri partner ecumenici. Papa Francesco e il Vescovo Munib A. Younan, allora Presidente della Federazione Luterana Mondiale, durante questo servizio liturgico da loro presieduto, hanno firmato una dichiarazione comune, impegnandosi a proseguire insieme il cammino ecumenico verso l’unità per la quale Cristo ha pregato (cfr. Giovanni 17,21). Lo stesso giorno, anche il nostro servizio comune a favore di coloro che sono bisognosi del nostro aiuto e della nostra solidarietà è stato rafforzato grazie ad una lettera di intenti firmata dalla Caritas Internationalis e dalla Lutheran World Federation World Service.
Papa Francesco e il Presidente Younan hanno dichiarato insieme: “Molti membri delle nostre comunità aspirano a ricevere l’Eucaristia ad un’unica mensa, come concreta espressione della piena unità. Facciamo esperienza del dolore di quanti condividono tutta la loro vita, ma non possono condividere la presenza redentrice di Dio alla mensa eucaristica. Riconosciamo la nostra comune responsabilità pastorale di rispondere alla sete e alla fame spirituali del nostro popolo di essere uno in Cristo. Desideriamo ardentemente che questa ferita nel Corpo di Cristo sia sanata. Questo è l’obiettivo dei nostri sforzi ecumenici, che vogliamo far progredire, anche rinnovando il nostro impegno per il dialogo teologico.”
Tra le benedizioni sperimentate durante l’anno della Commemorazione, vi è il fatto che, per la prima volta, luterani e cattolici hanno visto la Riforma da una prospettiva ecumenica. Ciò ha reso possibile una nuova comprensione di quegli eventi del XVI secolo che condussero alla nostra separazione. Riconosciamo che, se è vero che il passato non può essere cambiato, è altrettanto vero che il suo impatto odierno su di noi può essere trasformato in modo che diventi un impulso per la crescita della comunione ed un segno di speranza per il mondo: la speranza di superare la divisione e la frammentazione. Ancora una volta, è emerso chiaramente che ciò che ci accomuna è ben superiore a ciò che ci divide.
Siamo lieti che la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, firmata solennemente dalla Federazione Luterana Mondiale e dalla Chiesa romano-cattolica nel 1999, sia stata firmata anche dal Consiglio Metodista Mondiale nel 2006 e, durante questo anno di Commemorazione della Riforma, dalla Comunione Mondiale delle Chiese Riformate. Oggi stesso, la Dichiarazione viene accolta e recepita dalla Comunione Anglicana nel corso di una solenne cerimonia nell’Abbazia di Westminster. Su questa base, le nostre comunità cristiane possono costruire un sempre più stretto legame di consenso spirituale e di testimonianza comune al servizio del Vangelo.
Guardiamo con soddisfazione alle numerose iniziative di preghiera comune e di culto divino che luterani e cattolici hanno condiviso insieme ai loro partner ecumenici in varie parti del mondo, così come agli incontri teologici e alle importanti pubblicazioni che hanno dato sostanza a questo anno di Commemorazione.
Con uno sguardo rivolto al futuro, ci impegniamo a proseguire il nostro cammino comune, guidati dallo Spirito di Dio, verso la crescente unità voluta dal nostro Signore Gesù Cristo. Con l’aiuto di Dio e in uno spirito di preghiera, intendiamo discernere la nostra interpretazione di Chiesa, Eucaristia e Ministero, sforzandoci di giungere ad un consenso sostanziale al fine di superare le differenze che sono tuttora fonte di divisione tra di noi. Con profonda gioia e gratitudine, confidiamo nel fatto “che colui il quale ha iniziato in [noi] quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Fil 1,6).

 

“Riconciliarsi per annunciare il Vangelo”. Dichiarazione comune per il 500° anniversario dell’inizio della Riforma.

 

Da Veritas in caritate. Informazioni dall’Ecumenismo in Italia 10/10 (2017), p. 46.

«Piuttosto che i conflitti del passato, il dono divino dell’unità tra di noi guiderà la collaborazione e approfondirà la nostra solidarietà. Stringendoci nella fede a Cristo, pregando insieme, ascoltandoci a vicenda, vivendo l’amore di Cristo nelle nostre relazioni, noi, cattolici e luterani, ci apriamo alla potenza di Dio Uno e Trino. Radicati in Cristo e rendendo a Lui testimonianza, rinnoviamo la nostra determinazione ad essere fedeli araldi dell’amore infinito di Dio per tutta l’umanità» (Dichiarazione congiunta in occasione della Commemorazione cattolico-luterana della Riforma, Lund 31 ottobre 2016). Queste parole hanno guidato il cammino di riconciliazione e di condivisione che ha coinvolto cattolici e luterani in tanti luoghi, in questo anno, per vivere l’esperienza di una commemorazione comune del 500° anniversario dell’inizio della Riforma, nella linea indicata dal documento Dal conflitto alla comunione della Commissione luterano-cattolica per l’unità.
In Italia numerose sono state le iniziative, a vario livello, alle quali hanno preso parte cristiani e cristiane per commemorare la Riforma del XVI secolo in un spirito che, se non può essere considerato una novità alla luce dei passi compiuti negli ultimi decenni, ha sicuramente aperto una nuova stagione nel cammino per la costruzione dell’unità visibile della Chiesa con la quale mettere fine allo scandalo delle divisioni.
Proprio alla luce di queste iniziative, cattolici e luterani auspicano che sia possibile proseguire nell’approfondimento della conoscenza dell’opera e della figura di Martin Lutero per una migliore comprensione delle ricchezze spirituali, teologiche e liturgiche del XVI secolo per una riforma della Chiesa, radicata sulle Sacre Scritture e arricchita dalla tradizione dei concili ecumenici, in grado di rimuovere quei pregiudizi che ancora impediscono una lettura condivisa delle vicende storiche della Riforma in tutte le sue articolazioni.
Nella lettura congiunta delle Sacre Scritture, che costituisce un passaggio fondamentale, da anni, nella scoperta quotidiana di cosa unisce i cristiani, cattolici e luterani invitano a trovare nuove fonti per sviluppare il cammino ecumenico, anche grazie a un rinnovato rapporto con il popolo ebraico proprio a partire dalla comune radice biblica. Leggere insieme le Sacre Scritture illumina l’esperienza di fede con percorsi ecumenici di ascolto e commento della Parola di Dio in modo da condividere tradizioni esegetiche e formulazioni dottrinali, affidando al Signore i tempi e i modi della realizzazione dell’unità visibile della Chiesa.
Cattolici e luterani ritengono che questi percorsi vanno sostenuti e incoraggiati nella prospettiva di favorire un ripensamento della catechesi in chiave ecumenica, soprattutto in relazione alla celebrazione del battesimo e del matrimonio e, più in generale, alle liturgie ecumeniche di riconciliazione, così da aiutare a vivere questi momenti della vita delle comunità locali come opportunità per riaffermare che per cattolici e luterani l’ecumenismo costituisce una scelta irreversibile, quotidiana, non emergenziale, in grado di aiutare una migliore comprensione delle proprie identità, rendendo più vivace e pregnante la missione della Chiesa. Cattolici e luterani vogliono rendere sempre più dinamico il proprio impegno nella cura della creato, proponendo un modello di sviluppo economico che non sia interessato alla logica del profitto, che tanti danni ha fatto anche nel nostro paese con l’inquinamento dell’aria, delle acque e della terra, ma, superando gli interessi individuali o di gruppo, sappia utilizzare le risorse del creato nel rispetto dell’ambiente e avendo sempre di mira il bene comune e quello stesso della terra di cui siamo custodi e non padroni.
Per cattolici e luterani, le peculiarità del cammino ecumenico devono portare a moltiplicare le occasioni per testimoniare l’amicizia e l’aiuto verso i poveri, in particolare oggi verso i migranti che fuggono da guerre e calamità naturali. Davanti al bisogno loro e anche di un numero crescente di nostri concittadini, ci impegniamo a coinvolgere le nostre comunità in uno sforzo maggiore di solidarietà, avendo sempre come modello il Buon Samaritano, quel Gesù che si china sulle ferite dell’umanità sofferente. Siamo aperti a collaborare con tutti i nostri fratelli e sorelle a cui ci accomuna la fede nel Signore Gesù, ed anche con le donne e gli uomini di altre religioni e con tutti coloro che hanno a cuore il futuro del nostro paese e del mondo. Rafforzare l’amicizia nella fraternità, ai piedi della croce di Cristo, ci aiuterà a favorire una riconciliazione delle memorie in grado di sostenere cattolici e luterani nell’annuncio e nella testimonianza della Parola di Dio nella società contemporanea, per promuovere una riforma sempre più evangelica della vita quotidiana delle comunità locali.

Roma, 31 ottobre 2017.

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA – CHIESA EVANGELICA LUTERANA IN ITALIA