«Quanta est nobis via?». Un messaggio di papa Francesco al cardinal Koch nel 25° anniversario della Ut unum sint.

 

di Alex Talarico.

Comparso già in «Veritas in caritate», 13/4-5 (2020), p. 36.

Il 25 maggio 1995 veniva pubblicata la Lettera Enciclica Ut unum sint da san Giovanni Paolo II, con la quale il pontefice, con lo sguardo proteso al Giubileo del 2000, rinsaldava l’impegno dei cattolici per un dialogo ecumenico e si inseriva nel solco dei suoi predecessori che, a partire da Pio XI, in forme diverse anche a seconda del contesto storico, continuavano a porsi il problema delle divisioni all’interno della Chiesa Una.

Papa Francesco lo scorso 24 maggio 2020 ha inviato una Lettera al cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, in occasione del 25° anniversario della pubblicazione della Enciclica che era stata pensata affinché tutti i cristiani siano impegnati «in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica» e affinché – così come Bartolomeo aveva sottolineato nella riflessione che poi San Giovanni Paolo II fece sua nelle meditazioni della Via Crucis del Venerdì Santo del 1994 – professino «insieme la stessa verità sulla Croce».

Francesco, che sin dall’inizio del suo pontificato non nasconde come il cammino dell’unità dei cristiani sia una delle sue priorità, coglie l’occasione dell’anniversario della Enciclica Ut unum sint, che recepisce il decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio e apporta innovative considerazioni su un ripensamento di un esercizio del primato che non prescinda dalla tradizione ma che riesca ad andare oltre tutto ciò che è frutto di prerogative legate alla storia, per rendere «grazie al Signore per il cammino che ci ha concesso di compiere come cristiani nella ricerca della piena comunione».

Inoltre, con la lettera indirizzata al cardinale Koch, il papa intende rinnovare la sua «gratitudine a quanti hanno operato e operano» all’interno del Pontificio Consiglio, creato il 5 giugno 1960 da Giovanni XXIII, e trasformato, inizialmente in organismo permanente della Santa Sede da Paolo VI nel 1966 e, infine, in Pontificio Consiglio nel 1988 proprio da san Giovanni Paolo II.

Il Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che era stato pensato da Giovanni XXIII come una delle Commissione preparatorie del concilio Vaticano II con l’incarico di invitare osservatori di altre confessioni al concilio che costituiva, sia dai primi momenti della sua celebrazione, un modo del tutto nuovo nel ripensamento della partecipazione della Chiesa cattolica al movimento ecumenico, oggi promuove iniziative, incontri ed eventi che possano favorire il cammino verso l’unità e lo sviluppo di legami con le altre Chiese e realtà ecclesiali.

La decisione di papa Francesco di scrivere al cardinale Koch, proprio in occasione dell’anniversario della Enciclica, vuol salutare due eventi che vanno ad inserirsi in quello che continua ad essere l’impegno di voler promuovere, all’interno della Chiesa cattolica, un autentico spirito ecumenico secondo il Decreto conciliare sull’ecumenismo: «un Vademecum ecumenico per i Vescovi, che sarà pubblicato nel prossimo autunno, come incoraggiamento e guida all’esercizio delle loro responsabilità ecumeniche… [e] il lancio della rivista Acta OEcumenica, che, rinnovando il Servizio di Informazione del Dicastero, si propone come sussidio per quanti lavorano al servizio dell’unità».

Il papa, che condivide «la sana impazienza di quanti a volte pensano che potremmo e dovremmo impegnarci di più», tuttavia, invita a non dimenticare i «molti passi [che] sono stati fatti in questi decenni per guarire ferite secolari e millenarie». Molto in questi anni, infatti, è stato fatto, soprattutto in occasione della commemorazione comune della Riforma del XVI secolo, per una guarigione delle memorie che andasse oltre la lettura parziale degli avvenimenti storici che, per troppo tempo, erano stati letti e raccontati in maniera confessionale.

Grazie a tanti cristiani che hanno voluto farsi carico della «accorata preghiera… “Che siano una cosa sola!” (cfr Gv 17, 21)», e che costituiscono i nostri «compagni di viaggio» nella prospettiva che «l’unità si fa camminando», molti altri sono i passi compiuti dalle Chiese e comunità cristiane: «il dialogo teologico e quello della carità, come pure varie forme di collaborazione nel dialogo della vita, sul piano pastorale e culturale».

«Quanta est nobis via?». La domanda di Ut unum sint rimane ancora oggi forte: «Quanta strada ci resta da fare?». Francesco ricorda che l’unità «non è principalmente il risultato della nostra azione, ma è dono dello Spirito santo» e verrà «come un miracolo alla fine: l’unità viene nel cammino, la fa lo Spirito Santo nel cammino». Riprendendo l’espressione utilizzata dal cardinale Koch in un articolo pubblicato su «L’Osservatore Romano» del 9 luglio 2016, Quando l’aereo è in volo sembra lento. Cinque indicazioni per il cammino ecumenico, il papa ricorda come il cammino, e quindi la dimensione sinodale, sia costitutivo della vita della Chiesa e dalla forte valenza ecumenica: «Come i discepoli di Emmaus, possiamo sentire la presenza di Cristo risorto che cammina accanto a noi e ci spiega le Scritture e riconoscerlo nella frazione del pane, in attesa di condividere insieme la Mensa eucaristica».

Alla luce del messaggio del papa al cardinale Koch continuiamo a camminare, interrogandoci sulla strada che ci resta da fare andando ad attingere alle fresche correnti dei documenti del concilio Vaticano II e del magistero dei pontefici, che ancora oggi, richiedono una sempre migliore recezione e comprensione, in quanto tanto ancora hanno da dire, così come tanto ha da darci la Ut unum sint, un testo che richiede approfondimento e studio affinché si possa realizzare «quella unità nella legittima diversità dei carismi».