La parola mistagogia (μυσταγωγία), dunque, può avere due significati: può riferirsi sia alla celebrazione dei sacramenti (μυστήρια), sia ad una spiegazione dei sacramenti. Il significato letterale della parola «condurre nel mistero», era anche utilizzato per definire un genere letterario, noto anche come commento liturgico[1].
Tra le ondate di nuove conversioni, dopo che il cristianesimo era diventato la religione ufficialmente riconosciuta dell’Impero Romano, molti Padri della Chiesa, dal quarto all’ottavo secolo, scrissero tali commenti per spiegare i misteri del battesimo, della cresima e dell’Eucaristia ai fedeli che erano stati recentemente iniziati alla fede cristiana; così, come affermava Teodoro di Mopsuestia, ogni sacramento consiste nella rappresentazione di cose invisibili e indicibili attraverso segni ed emblemi. Tali cose richiedono spiegazioni e interpretazioni, per il bene della persona che si avvicina al sacramento, affinché possa conoscerne il potere. Allo scopo di spiegare i riti liturgici ai fedeli, i Padri della Chiesa adottarono metodi esegetici usati per interpretare le Scritture. Pertanto, un significato letterale e uno spirituale potrebbero essere trovati nel testo, con il significato spirituale ulteriormente suddiviso in allegorico, che interpretava l’Antico Testamento come riferimenti a Cristo; in un livello morale, che collegava il senso allegorico alla nostra vita cristiana; e in un livello escatologico oppure anagogico, riferito al regno futuro e alla nostra attuale contemplazione di esso[2].
Per quanto riguarda l’innografia, è interessante notare che a Gerusalemme, dopo il IV secolo, non furono scritti ulteriori testi esplicativi o commenti sulla Divina Liturgia e sui riti di iniziazione. Invece, il clero e i monaci di Gerusalemme, scelsero un altro genere letterario per spiegare ai fedeli la liturgia e i misteri, vale a dire quello dell’innografia[3].
L’innografia aveva il vantaggio di essere immersa nella struttura delle funzioni liturgiche stesse, e spiegava ai fedeli cosa stava succedendo durante la celebrazione, piuttosto che offrire una spiegazione prima o dopo la celebrazione dei misteri.
In questo modo, l’innografia ha una funzione esegetica, fornendo un commento sulla Scrittura e sul mistero della salvezza in Cristo. San Massimo il Confessore aggiunge al carattere esegetico dell’innografia alcune “finissime” qualità morali: «il godimento spirituale degli inni divini significava le vivide delizie delle benedizioni divine spostando le anime verso l’amore chiaro e benedetto di Dio suscitandole oltre all’odio per il peccato»[4].
Nell’ambito della mistagogia innografica rientra anche la melurgìa[5] e tutte e due sono parte integrante e costitutiva della Divina Liturgia e hanno come fine la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli. L’armonia innografica di tutti gli elementi celebrativi non è mero strumento per un semplice rituale, ma coscienza concreta di introdurre ai divini misteri. Bisogna riconoscere all’innografia e alla melurgìa, parte integrante delle celebrazioni liturgiche, il loro carattere mistagogico. Come anche Giovanni Paolo II ebbe a riconoscere, gli innografi[6] e i melurgi erano imbevuti di senso di mistero e partecipi alla vita della Chiesa. L’innografo, che approfondisce il mistero da celebrare, «rende poetico e attraente il rito attraverso l’uso della parola, generata dai suoi sentimenti più profondi, dal suo cuore e dalla sua fede»[7].
Se la lex orandi è pilastro della chiesa, il servus fidei accresce il servizio ministeriale dell’innografo e del melurgo. La sintesi bella di queste due verità ha generato un significativo concetto di ecclesialità applicato all’intera arte celebrativa: musicale e innografica. Gli otto toni[8] dell’arte celebrativa bizantina, hanno un ruolo importantissimo perché, da una parte celebrano il mistero della Risurrezione, e dall’altra scandiscono il ciclo celebrativo dell’intero anno liturgico, introducendo il fedele nei misteri divini.
Un esempio perfetto della funzione dell’innografia e della melurgia nello spiegare gli stessi riti liturgici si trova nell’inno cherubico, cantato prima del grande ingresso durante la Divina Liturgia: «Οἱ τὰ Χερουβεὶμ μυστικῶς εικονίζοντες καὶ τῇ Ζωοποιῷ Τριάδι τὸν Τρισάγιον ὕμνον προσᾴδοντες πᾶσαν τὴν βιωτικὴν ἀποθώμεθα μέριμναν ὠς τὸν βασιλέα τῶν ὃλων ὑποδεξόμενοι ταῖς ἀγγελικαῖς ἀοράτως δορυφορούμενον τάξεσιν. Ἀλληλούϊα», cioè: «Noi che misticamente raffiguriamo i cherubini, e alla Trinità vivificante cantiamo l’inno Trisagio deponiamo ogni mondana preoccupazione; affinché possiamo accogliere il re dell’Universo, scortato invisibilmente dalle angeliche schiere. Alliluia»[9].
Piuttosto che dare un significato al grande ingresso, spiegandolo come una «processione verso la tomba per la sepoltura di Cristo», simboleggiata dall’altare, il teologo Taft, considera l’inno cherubico come mistagogia della nostra partecipazione alla Divina Liturgia: «il Re dell’Universo» che accogliamo è il Signore. Pertanto, l’inno cherubico spiega ai fedeli cosa sta succedendo nei riti liturgici proprio nel momento in cui passiamo dalla Liturgia della Parola alla Liturgia dell’Eucaristia[10].
È evidente che l’atmosfera nella quale si svolge la Divina Liturgia è un’atmosfera di mistero e di soprannaturale che si accentua gradualmente nel movimento di avvicinamento al rito eucaristico, il cuore della Santa Liturgia. L’inno cherubico cantato dai fedeli e silenziosamente anche dai celebranti, ha già un senso mistico espresso dal testo citato più su: noi raffiguriamo misticamente i Cherubini del Cielo, perché ci prepariamo come loro ad accogliere il Re dell’Universo, che si manifesterà, nel grande ingresso, in mezzo al popolo, sotto forma dei Santi Doni e al Quale cantiamo: «Alliluia». Proprio per questo siamo chiamati a deporre «ogni mondana preoccupazione», per poter accoglierLo con il dovuto onore.
L’ingresso dei Santi Doni, ossia dei Santi Misteri come li chiama San Massimo il Confessore, significa «principio ed esordio della nuova dottrina che è per venire nei cieli, intorno alla provvidenza di Dio per noi; e rivelazione del mistero della nostra salvezza, che è negli aditi del divino segreto»[11].
[1] Cf D. Galadza, «The Liturgical Year and Mystagogy: Entering into the Paschal Mystery Presentation to the Meeting of the Bishops of the Catholic Eastern Rite Churches in Europe», in A Journal of Eastern Christian Studies 59 (2018) 173-192, in particolare 174.
[2] Ivi, 175.
[3] Ivi.
[4] Massimo Il Confessore, La Mistagogia ed altri scritti, IX, a cura di R. Cantarella, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1931, 179.
[5] Per Melurgìa si intende il complesso delle. Musiche liturgiche delle diverse ufficiature. La terminologia è greca: μελουργία «canto, musica»: composta da di μέλος «canto» e ουργία «urgia».
[6] Tra gli innografi più importanti nella storia bizantina: Andrea di Creta, Cosma di Majuma, Efrem il Siro, Giovanni Damasceno, Romano il Melode, Giuseppe Innografo, Teodoro Studita.
[7] N. Cuccia, «Il mistero creduto. Per un catechismo mistagogico della Chiesa bizantina italo-albanese», in Oriente Cristiano 50 (2017) II, 64-84, qui 76.
[8] Gli otto toni musicali, oltre ad assicurare una varietà melodica con il loro ordinato ritorno ciclico durante l’anno liturgico, costituiscono una metafora del mistero pasquale che inaugura l’ottavo giorno della salvezza: cf Eparchie di Lungro e di Piana degli Albanesi e Monastero Esarchico di S.M di Grottaferrata, II Sinodo Intereparchiale, art. 358, 132.
[9] Eparchia di Lungro, La Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo, Testo greco traslitterato con traduzione albanese e italiana ad uso dei fedeli, Tipografia MIT, Cosenza 1999, 58-60.
[10] Galadza, «The Liturgical Year and Mystagogy», 176.
[11] Massimo Il Confessore, La Mistagogia ed altri scritti, XVI, 179.