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Parroco della parrocchia "Santa Maria Assunta" di Frascineto (CS).

Frascineto - Frasnitë

Parrocchia Santa Maria Assunta – Frascineto (Cs)

            Chiesa Madre di Santa Maria Assunta in Cielo (sec XVIII).

La Chiesa cosi come la vediamo oggi, risale alla fine del XVIII secolo, infatti, si nota molto bene lo stile tardo Barocco a croce Latina. Ricostruita probabilmente su una Chiesa risalente al XV secolo, andata distrutta durante la guerra fra Angioini ed Aragonesi, per la successione alla corona del Regno di Napoli; nel ricostruirla il popolo di Frascineto l’ha ampliata nella parte del Vima (altare), cioè ad oriente, come si evince dai registri parrocchiali nello stesso periodo. Nell’ampliarla furono anche fatti gli stucchi ancora esistenti per opera di Bernardo Pallasciano di Salerno. Il 16 Dicembre 1856 a causa di una scossa di terremoto crollo il campanile, che si era notevolmente indebolito nei mesi precedenti a causa di violenti temporali e fu ricostruito.

Nel 1903 e stata edificata l’attuale Cupola, di questa si conserva ancora il progetto.

Negli anni 40 del XX secolo è stato demolito l’altare di Rito Romano (Latino) dopo che nel 1919 era stata costituita l’Eparchia  (Diocesi) di Rito Bizantino Greco-Albanese di Lungro ed edificato quello secondo il Rito Bizantino, sormontato da un Baldacchino.

Nel 1947 è ultimata l’Iconostasi muraria su progetto dell’architetto Grassi di Roma e dell’ingegner Mainieri di Morano Calabro ed ultimate le 33 Icone che l’adornano, queste sono state dipinte dal monaco benedettino dell’Abbazia di Chevetogne in Belgio, Gerolamo Leussing che aveva imparato l’arte iconografica in Russia, allievo del grande maestro Sufronov; queste infatti sono dipinte secondo la tradizione Russa dei Vecchi Credenti. La maggior parte delle sue opere sono conservate negli Stati Uniti ed in Canada.

Nella Chiesa si trovano anche  3 tele dipinte  di scuola napoletana settecentesca, 2 di queste sono certamente attribuibili a Gualtiero Genisio di Morano Calabro, celebre pittore di quegli anni. Nel 1987 è donata alla Chiesa da parte dell’Archimandrita Giuseppe Ferrari, già parroco di Frascineto dal 1940 al 1956, l’Icona della Glikofilusa (Madonna del Dolce Abbraccio)  dipinta sul Sacro Monte Athos da un monaco sconosciuto e ricoperta dalla Riza, cesellata a Salonnico dalla Locale Accademia Iconografica.

Nel 1997 la Chiesa viene totalmente restaurata negli stucchi e nella tinteggiatura ed arricchita di numerose Icone di varia grandezza, vanno ricordate le 2 grandi Iconi della Crocifissione e del Battesimo di nostro Signore Gesù Cristo, commissionate da papas Francesco Solano e le 21 Iconi dell’Inno Akathistos poste negli applique, unico esempio di iconi riguardanti questo inno che si trovano in Europa Occidentale, tutte queste icone come le precedenti sono state dipinte dall’Iconografo albanese Josif Droboniku.

Nel 2009 viene costruito il Trono Episcopale in legno da parte dell’artigiano Gianni Gioia di Frascineto e nello stesso periodo viene anche fatto il Mosaico della Platitera, posto dietro l’altare commissionato da papàs Vincenzo Scarvaglione, parroco di Frascineto dal 1963 al 2004.

Nell’anno 2014 viene inaugurato il maestoso affresco  posto sull’intera parete della chiesa principale nel lato ovest, che rappresenta la Dormizione della Santissima Madre di Dio, patrona della chiesa. L’affresco è opera dell’agiografa ortodossa greca Sofia Papazoglou, coadiuvata  dall’albanese  Demetrio Gjino, residenti ad Atene, ed è stato offerto dal protopresbitero A. Bellusci, parroco di Frascineto dal 2004 al 2014.

Su iniziativa dell’attuale parroco, papàs Gabriel Sebastian Otvos, le tre pareti del  santo Vima sono state abbellite con cinque  maestosi  e splendidi affreschi bizantini, offerti da sacerdoti, suore, fedeli e popolo di Frascineto.

Gli affreschi sono stati magistralmente eseguiti dal giovane iconografo rumeno Cosmin Biro.

I cinque novi affreschi ricoprono tutte le ampie pareti, conferendo all’intero Santuario uno splendore proprio ed esclusivo ed un fascino celestiale. La presenza iconografica nel santo Vima di angeli, arcangeli, apostoli, asceti, dottori e santi padri della chiesa universale, elevano in alto i cuori e lo spirito durante le celebrazioni, offrendo momenti di estasi e di contemplazione celestiale.

Chiesa di Santa Lucia (sec. XVI)

La Chiesa risale al secolo XVI ed è dedicata a Santa Lucia, Vergine e Martire.  Nella sua semplicità di stile barocco si presenta con una sola navata e custodisce all’interno una meravigliosa ed elegante iconostasi (1993) di marmo e ricca di simboli liturgici. Tra le numerose opere ed icone di particolare significato, sono i dipinti della Platytera e del Cristo Pantokrator e le icone con la raffigurazione degli aspetti più importanti della vita e del martirio di Santa Lucia.

Chiesa di San Pietro (sec. X)

E’ la Chiesa più antica esistente a Frascineto, risale al secolo X. Era officiata da monaci basiliani di rito bizantino fino al 1734. i quali hanno lasciato le loro inconfondibili tracce di spiritualità fino al presente. La pianta della Chiesa è di stile bizantino, realizzata a tre navate con cupola e presbiterio tipicamente orientali.

 

 

 

Alcune Kalimere di Frascineto della Festa di Santa Lucia e della Settimana dei defunti (JAVA E PRIGATORVËT).

Momenti (alcuni) della parrocchia:

 


Divina Liturgia trasmessa in diretta su Rai 1 – San Costantino Alb. – anno 2014.

Nell’anno del Signore, 2014, Domenica 26 gennaio, è stata trasmessa su Rai 1, per la prima volta in lingua arbereshe, la Celebrazione della Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo, dalla parrocchia italo-albanese di San Costantino albanese (Pz). La Divina Liturgia è stata presieduta da S.E. Mons. Donato Oliverio, Vescovo di Lungro, ed hanno concelebrato: il Protosincello dell’Eparchia, Protopresbitero Pietro Lanza, , Papàs Lorenzo Forestieri,  il Parroco di San Paolo Albanese, Papàs Francesco Mele, e il Segretario del Vescovo, Papàs Sergio Straface.
I canti sono stati eseguiti in lingua arbëreshe dal Coro parrocchiale di San Costantino il Grande e dal Coro polifonico bizantino della Cattedrale di Lungro, diretto da Papàs Gabriel S. Otvos.

Inni Liturgici Bizantini.

I padri della Chiesa hanno sempre sottolineato la funzione del canto nell’assemblea liturgica, nell’esecuzione ancora oggi tradizionale, all’unisono, o del solista con la partecipazione responsoriale e antifona del coro e dei presenti( Sinodo Intereparchiale, art. 357).

 

Canti della Liturgia Bizantina. Spartiti musicali pdf.

Per la qualità delle celebrazioni, il canto deve essere particolarmente curato, sensibilizzando i cuori ed illuminando le menti, perché coinvolga l’intera assemblea, la quale può essere animata da gruppi ben preparati. Il coro può cantare delle parti più complesse, ma deve sopratutto coinvolgere e guidare l’assemblea perché partecipi attivamente e consapevolmente alle celebrazioni. Nella tradizione bizantina sono esclusi in chiesa strumenti musicali che sostengano, accompagnino o sostituiscano il canto dell’assemblea. ( Sinodo Intereparchiale, art. 359; art. 360).

Canti della Divina Liturgia – in greco.

Divina Liturgia in albanese (musicata da p.Nilo Somma).

Inno Paràklisis alla Madre di Dio.

APOLITIKIA, KONTAKIA, TROPARIA.

VESPRO

Fòs ‘Ilaron (1)

Fòs ‘Ilaron (2)

Prokimena della Settimana e delle Feste.

Tono I

Tono II

Tono III

Tono IV

Tono V

Tono VI

Tono VII

Tono VIII

 


Mistagogia Innografica

Mistagogia Innografica

      La parola mistagogia (μυσταγωγία), dunque, può avere due significati: può riferirsi sia alla celebrazione dei sacramenti (μυστήρια), sia ad una spiegazione dei sacramenti. Il significato letterale della parola «condurre nel mistero», era anche utilizzato per definire un genere letterario, noto anche come commento liturgico[1].

Tra le ondate di nuove conversioni, dopo che il cristianesimo era diventato la religione ufficialmente riconosciuta dell’Impero Romano, molti Padri della Chiesa, dal quarto all’ottavo secolo, scrissero tali commenti per spiegare i misteri del battesimo, della cresima e dell’Eucaristia ai fedeli che erano stati recentemente iniziati alla fede cristiana; così, come affermava Teodoro di Mopsuestia, ogni sacramento consiste nella rappresentazione di cose invisibili e indicibili attraverso segni ed emblemi. Tali cose richiedono spiegazioni e interpretazioni, per il bene della persona che si avvicina al sacramento, affinché possa conoscerne il potere. Allo scopo di spiegare i riti liturgici ai fedeli, i Padri della Chiesa adottarono metodi esegetici usati per interpretare le Scritture. Pertanto, un significato letterale e uno spirituale potrebbero essere trovati nel testo, con il significato spirituale ulteriormente suddiviso in allegorico, che interpretava l’Antico Testamento come riferimenti a Cristo; in un livello morale, che collegava il senso allegorico alla nostra vita cristiana; e in un livello escatologico oppure anagogico, riferito al regno futuro e alla nostra attuale contemplazione di esso[2].

Per quanto riguarda l’innografia, è interessante notare che a Gerusalemme, dopo il IV secolo, non furono scritti ulteriori testi esplicativi o commenti sulla Divina Liturgia e sui riti di iniziazione. Invece, il clero e i monaci di Gerusalemme, scelsero un altro genere letterario per spiegare ai fedeli la liturgia e i misteri, vale a dire quello dell’innografia[3].

L’innografia aveva il vantaggio di essere immersa nella struttura delle funzioni liturgiche stesse, e spiegava ai fedeli cosa stava succedendo durante la celebrazione, piuttosto che offrire una spiegazione prima o dopo la celebrazione dei misteri.

In questo modo, l’innografia ha una funzione esegetica, fornendo un commento sulla Scrittura e sul mistero della salvezza in Cristo. San Massimo il Confessore aggiunge al carattere esegetico dell’innografia alcune “finissime” qualità morali: «il godimento spirituale degli inni divini significava le vivide delizie delle benedizioni divine spostando le anime verso l’amore chiaro e benedetto di Dio suscitandole oltre all’odio per il peccato»[4].

Nell’ambito della mistagogia innografica rientra anche la melurgìa[5] e tutte e due sono parte integrante e costitutiva della Divina Liturgia e hanno come fine la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli. L’armonia innografica di tutti gli elementi celebrativi non è mero strumento per un semplice rituale, ma coscienza concreta di introdurre ai divini misteri. Bisogna riconoscere all’innografia e alla melurgìa, parte integrante delle celebrazioni liturgiche, il loro carattere mistagogico. Come anche Giovanni Paolo II ebbe a riconoscere, gli innografi[6] e i melurgi erano imbevuti di senso di mistero e partecipi alla vita della Chiesa. L’innografo, che approfondisce il mistero da celebrare, «rende poetico e attraente il rito attraverso l’uso della parola, generata dai suoi sentimenti più profondi, dal suo cuore e dalla sua fede»[7].

Se la lex orandi è pilastro della chiesa, il servus fidei accresce il servizio ministeriale dell’innografo e del melurgo. La sintesi bella di queste due verità ha generato un significativo concetto di ecclesialità applicato all’intera arte celebrativa: musicale e innografica. Gli otto toni[8] dell’arte celebrativa bizantina, hanno un ruolo importantissimo perché, da una parte celebrano il mistero della Risurrezione, e dall’altra scandiscono il ciclo celebrativo dell’intero anno liturgico, introducendo il fedele nei misteri divini.

Un esempio perfetto della funzione dell’innografia e della melurgia nello spiegare gli stessi riti liturgici si trova nell’inno cherubico, cantato prima del grande ingresso durante la Divina Liturgia: «Οἱ τὰ Χερουβεὶμ μυστικῶς εικονίζοντες καὶ τῇ Ζωοποιῷ Τριάδι τὸν Τρισάγιον ὕμνον προσᾴδοντες πᾶσαν τὴν βιωτικὴν ἀποθώμεθα μέριμναν ὠς τὸν βασιλέα τῶν ὃλων ὑποδεξόμενοι ταῖς ἀγγελικαῖς ἀοράτως δορυφορούμενον τάξεσιν. Ἀλληλούϊα», cioè: «Noi che misticamente raffiguriamo i cherubini, e alla Trinità vivificante cantiamo l’inno Trisagio deponiamo ogni mondana preoccupazione; affinché possiamo accogliere il re dell’Universo, scortato invisibilmente dalle angeliche schiere. Alliluia»[9].

Piuttosto che dare un significato al grande ingresso, spiegandolo come una «processione verso la tomba per la sepoltura di Cristo», simboleggiata dall’altare, il teologo Taft, considera l’inno cherubico come mistagogia della nostra partecipazione alla Divina Liturgia: «il Re dell’Universo» che accogliamo è il Signore. Pertanto, l’inno cherubico spiega ai fedeli cosa sta succedendo nei riti liturgici proprio nel momento in cui passiamo dalla Liturgia della Parola alla Liturgia dell’Eucaristia[10].

È evidente che l’atmosfera nella quale si svolge la Divina Liturgia è un’atmosfera di mistero e di soprannaturale che si accentua gradualmente nel movimento di avvicinamento al rito eucaristico, il cuore della Santa Liturgia. L’inno cherubico cantato dai fedeli e silenziosamente anche dai celebranti, ha già un senso mistico espresso dal testo citato più su: noi raffiguriamo misticamente i Cherubini del Cielo, perché ci prepariamo come loro ad accogliere il Re dell’Universo, che si manifesterà, nel grande ingresso, in mezzo al popolo, sotto forma dei Santi Doni e al Quale cantiamo: «Alliluia». Proprio per questo siamo chiamati a deporre «ogni mondana preoccupazione», per poter accoglierLo con il dovuto onore.

L’ingresso dei Santi Doni, ossia dei Santi Misteri come li chiama San Massimo il Confessore, significa «principio ed esordio della nuova dottrina che è per venire nei cieli, intorno alla provvidenza di Dio per noi; e rivelazione del mistero della nostra salvezza, che è negli aditi del divino segreto»[11].

[1] Cf D. Galadza, «The Liturgical Year and Mystagogy: Entering into the Paschal Mystery Presentation to the Meeting of the Bishops of the Catholic Eastern Rite Churches in Europe», in A Journal of Eastern Christian Studies 59 (2018) 173-192, in particolare 174.

[2] Ivi, 175.

[3] Ivi.

[4] Massimo Il Confessore, La Mistagogia ed altri scritti, IX, a cura di R. Cantarella, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1931, 179.

[5] Per Melurgìa si intende il complesso delle. Musiche liturgiche delle diverse ufficiature. La terminologia è greca: μελουργία «canto, musica»: composta da di μέλος «canto» e ουργία «urgia».

[6] Tra gli innografi più importanti nella storia bizantina: Andrea di Creta, Cosma di Majuma, Efrem il Siro, Giovanni Damasceno, Romano il Melode, Giuseppe Innografo, Teodoro Studita.

[7] N. Cuccia, «Il mistero creduto. Per un catechismo mistagogico della Chiesa bizantina italo-albanese», in Oriente Cristiano 50 (2017) II, 64-84, qui 76.

[8] Gli otto toni musicali, oltre ad assicurare una varietà melodica con il loro ordinato ritorno ciclico durante l’anno liturgico, costituiscono una metafora del mistero pasquale che inaugura l’ottavo giorno della salvezza: cf Eparchie di Lungro e di Piana degli Albanesi e Monastero Esarchico di S.M di Grottaferrata, II Sinodo Intereparchiale, art. 358, 132.

[9] Eparchia di Lungro, La Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo, Testo greco traslitterato con traduzione albanese e italiana ad uso dei fedeli, Tipografia MIT, Cosenza 1999, 58-60.

[10] Galadza, «The Liturgical Year and Mystagogy», 176.

[11] Massimo Il Confessore, La Mistagogia ed altri scritti, XVI, 179.

Divina Liturgia trasmessa in diretta su Rai 1 (Anno 2013).

In occasione della Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani, nell’anno del Signore, 2013, Domenica 20 gennaio, dalla Cattedrale di Lungro,  fu trasmessa su RAI 1 la Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo presieduta da Sua Eccellenza Reverendissima, Mons. Donato Oliverio, vescovo dell’Eparchia di Lungro. Hanno concelebrato: il Protosincello dell’Eparchia, Protopresbitero Pietro Lanza, Papàs Arcangelo Capparelli, Papàs Raffaele De Angelis e Papàs Vincenzo Carlomagno.
I canti sono stati eseguiti in greco dal Coro polifonico bizantino della Cattedrale di Lungro, diretto da Papàs Gabriel S. Otvos.