Archivi della categoria: In evidenza

Una giornata di ritiro spirituale per il clero calabrese

           di Papàs Francesco Godino
 
                               Calabria: Ritiro di Clero regionale, anno del Signore 2011
 
Giovedì 16 giugno, nel Seminario Regionale Teologico “S. Pio X” di Catanzaro si è svolto il Ritiro di Clero dei Presbiteri della Calabria. Hanno partecipato anche numerosi Vescovi della nostra Regione, rappresentati dall’Arcivescovo Metropolita di Reggio Calabria, S. E. R. Vittorio Mondello, Presidente della Conferenza Episcopale Calabra ed accolti dal neo Arcivescovo Metropolita di Catanzaro, S. E. R. Vincenzo Bertolone, già Vescovo di Cassano, il quale ha voluto fortemente che si tenesse l’incontro nella importante sede del Seminario Regionale, dove si è formato gran parte del nostro Clero calabrese. Dopo un’accurata meditazione sul tema: Gesù Eucaristia, si è tenuta la Concelebrazione Eucaristica, presieduta da Mons. Mondello, assieme a tutti i Vescovi e i Presbiteri, nella Chiesa del Seminario. Mons. Mondello durante l’omelia ha sottolineato l’importanza della figura sacerdotale e della preghiera che dev’essere il centro della nostra vita. Non è fondamentale che il sacerdote celebri tre o quattro messe al giorno o che resti ore ed ore a confessare correndo da una parrocchia all’altra ma quello che deve fare primariamente è pregare e ascoltare gli altri, ha sottolineato ancora il P. Arcivescovo, cosicché i fedeli, edificati dalla vocazione autentica del Presbitero, possano beneficiare della sua vita spirituale e del suo aiuto materiale. Vi era inoltre presente S. E. R. Mons. Salvatore Nunnari, Arcivescovo Metropolita di Cosenza-Bisignano e Amministratore Apostolico di Lungro e il nostro Vicario Generale, il Rev.mo Archimandrita Donato Oliverio, assieme al Rev.mo Cancelliere Papàs Mario Aluise a ad altri sacerdoti della Nostra Eparchia.

La festa della Pentecoste

     dell’Archimandrita Donato Oliverio
 
     “Celebriamo la Pentecoste e la venuta dello Spirito, lo scadere della promessa e il compimento della speranza” (Stichirà del Vestro di Pentecoste).
 
     La discesa dello Spirito di verità e del Donatore di vita nella Pentecoste non è soltanto un fatto, conclusivo e iniziale insieme, ma è anche qualcosa di permanente, è una realtà costante, da cui dipende sostanzialmente l’esistenza stessa della Chiesa nei secoli.
     Questo carattere permanente della Pentecoste è sentito profondamente dalla coscienza della Chiesa, come lo esprimono i Padri e i Dottori e come la liturgia non cessa di mettere in luce.
     E’ questa l’esclamazione di S. Giovanni Crisostomo: “Il Cristo … ha detto dello Spirito Santo che egli rimarrà con voi nei secoli, e noi possiamo sempre celebrare la Pentecoste”.
     La Pentecoste inaugura il tempo in cui i santi sono messi in possesso del Regno. San Pietro (1 Pt 2,5-9) può adesso proclamare ai credenti che sta per compiersi la promessa fatta da Dio sul Sinai ad Israele, popolo tipo di tutti i chiamati: “Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19,6), cioè la Chiesa.
     Ecco il dono della Pentecoste, diversificato dalle “lingue di fuoco”: “Dove è la Chiesa, là è pure lo Spirito di Dio; e dove è lo Spirito di Dio, là è pure la Chiesa e ogni grazia” (S. Ireneo).
     Questa definizione sta alla base di tutta l’ecclesiologia; unita a quella che il grande Atanasio dà dell’economia divina, ci offre la sintesi del cristianesimo: “Il Verbo si è fatto carne, per offrire il suo corpo per tutti e affinché noi, partecipando al suo Spirito, potessimo essere divinizzati”.

Pasqua è la nostra gioia!

       dell’Archimandrita Donato Oliverio.
 
       Seguendo il Pentekostarion, nei vari testi vengono delineati i grandi temi teologici e spirituali della Chiesa che guida il popolo cristiano al rinnovamento pasquale.
“Avendo visto la Risurrezione di Cristo, prostriamoci dinanzi al Signore Gesù!”
 Pasqua è la nostra gioia. E’ mediante la sua potenza che noi acquistiamo il nostro essere Chiesa, nella vita unica del solo Corpo, quello di Cristo.
La gioia della Chiesa ci permette di vederci gli uni e gli altri in Dio e di rallegrarci del nostro prossimo, come conviene a persone che si vogliono bene. La Pasqua ci riempie dello Spirito Santo, che è la gioia dell’amore. E’ il dono che ricevono gli pneumatofori come coronamento della vita ascetica. Anche il nostro cuore si apre al giubilo dell’amore, esprimendosi con il bacio e il saluto di Pasqua: Christòs anèsti!
Le offese personali, i pensieri malvagi si sciolgono in questa luce.
E’ possibile, per chi ama, non perdonare? il perdono non è forse la gioia maggiore? Esso ci assimila a Dio, il quale perdona il figlio prodigo col banchetto di nozze. Pasqua è il perdono universale nella gioia dell’amore. L’amore pasquale ci fa accedere all’amore di Dio, che supera ogni comprensione.
La gioia dell’amore fa ardere il cuore, come quello dei due discepoli, quando avevano visto e sentito Colui che camminava accanto ad essi. Ecco che di nuovo Egli è in mezzo a noi, invisibilmente manifesto.

Chirotonia Presbiterale del Diacono Luigi Francesco GODINO

            di Ernesto TROTTA
 
Sabato 30 aprile 2011, a conclusione della settimana luminosa del Rinnovamento, la Parrocchia di S. Atanasio il Grande in Santa Sofia d’Epiro, ha avuto la grazia di vivere un momento d’intensa gioia e commozione: l’ordinazione sacerdotale del Diacono Luigi Francesco Godino.
Nella splendida cornice della chiesa dedicata al grande Patriarca di Alessandria, che proprio in quei giorni i Sofioti celebrano con fede proclamandolo Colonna portante della Chiesa Cattolica, una grande moltitudine di fedeli si è radunata per accompagnare nella preghiera il neo ‘ sacerdote, riecheggiando le parole del Salmo che cantiamo con gioia nel Penticostario: ‘Questo è il giorno fatto dal Signore, esultiamo e rallegriamoci in esso’.
Come la Pasqua è chiamata giustamente ‘Festa delle Feste’, così la data del 30 aprile rappresenta la conferma di un anno straordinario, che ci vedrà gioire di nuovo in occasione dell’ordinazione sacerdotale del Diacono Nicola Miracco Berlingieri, il prossimo 18 giugno.
A presiedere la solenne Divina Liturgia pontificale era l’Arcivescovo Metropolita di Cosenza ‘ Bisignano e Amministratore Apostolico dell’Eparchia di Lungro, Mons. Salvatore Nunnari, attorniato dai confratelli nell’Episcopato Mons. Cyril Vasil SJ, Segretario della Congregazione per le Chiese Orientali, Mons. Jan Babjak SJ, Arcivescovo di Presov in Slovacchia, Mons. Ercole Lupinacci, Vescovo Emerito di Lungro e pastore per lunghi anni della nostra chiesa eparchiale. A rappresentare il venerando cenobio di S. Maria in Grottaferrata c’era l’Archimandrita Esarca, Padre Emiliano Fabbricatore.
Hanno concelebrato inoltre l’Archimandrita Delegato Ad Omnia per l’Eparchia di Lungro, P. Donato Oliverio, il Parroco di S. Atanasio il Grande, P. Vincenzo Carlomagno e il suo coadiutore P. Viorel Adrian Hancu, il Rettore del Seminario Eparchiale di Cosenza P. Pietro Lanza e il vice ‘ Rettore P. Raffaele De Angelis, numerosi sacerdoti provenienti dalla nostra Eparchia e da altre diocesi, i Diaconi P. Arcangelo Capparelli, P. Luigi Fioriti e P. Nicola Miracco Berlingieri, i Chierici e i Seminaristi.
A compiere il rito della chirotonia sul novello sacerdote è stato l’Arcivescovo Cyril, già Rettore del Pontificio Istituto Orientale di Roma, dove P. Francesco ha condotto e perfezionato i suoi studi negli ultimi anni.
Era presente inoltre anche una nutrita delegazione della parrocchia di Santa Maria di Costantinopoli in Macchia Albanese, guidata dal parroco P.   Gennaro Ferrari.
In questa piccola comunità P. Francesco ha servito da Diacono e continuerà a prestare il suo servizio pastorale come presbitero.
Alla fine della Divina Liturgia, il neo ‘ ordinato ha ringraziato tutti i presenti per la preghiera e la partecipazione e ha rivolto un pensiero commosso e riconoscente al padre Ferruccio, scomparso nel 2005, e all’Archimandrita Giovanni Capparelli, esempio di autentico uomo di Dio e modello di vita per coloro che vogliono intraprendere la sequela Christi.
Inoltre ha ricordato con affetto la Signora Anna Maria Pizzi, che con dedizione e umiltà ha dedicato la sua vita alla liturgia e ha insegnato a tanti giovani l’amore per le nostre preziose tradizioni liturgiche.
A Padre Francesco, alla sua famiglia e alla sua amata sposa Aurora facciamo i più fervidi auguri per il suo ministero sacerdotale e gli assicuriamo le nostre preghiere.
 
Christòs Anèsti.
 

Domenica delle Palme

di Papàs Vittorio Scirchio
 
    Uno stichiron prosomion della V Domenica dei digiuni scrive: «Cantiamo, o fedeli … l’inno vigilare delle Palme a Cristo che viene nella gloria a Gerusalemme … per uccidere la morte». L’inno vigilare di cui parla lo stichiron è preso dal Salmo 118: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore ‘ Benedetto il figlio di Davide». Era il grido dei guerrieri per il Re che tornava vittorioso dalle sue imprese militari. Questo grido ci mostra l’idea di messianismo che ha il popolo ebreo. Gesù invece applica alla sua entrata in Gerusalemme un testo tratto da Zc 9,9, che gli Ebrei non avevano mai ritenuto un testo messianico: «Guarda il tuo re che viene, giusto, vittorioso, umile, cavalcando un asino».
     Gesù ha sempre rimproverato ai Giudei di interpretare a modo loro la Scrittura e di adattarla, mutilarla o imbavagliarla a loro piacimento. Invece il Signore utilizza proprio quei testi scartati dalla teologia ufficiale per invalidare l’idea di un messianismo considerato erroneo.
     La gente accorsa numerosa a Gerusalemme per le imminenti feste pasquali secondo l’evangelista Matteo si chiede: «Chi è Costui?». A questa domanda risponde l’ode IX del Mattutino delle Palme: «Egli è Dio: nessuno è pari a Lui. Egli ha scrutato ogni via giusta e l’ha data a Israele, suo diletto; dopo di ciò ha vissuto con gli uomini e si è fatto vedere». Inoltre nella nona antifone dell’Ufficio dei 12 Vangeli si canta: «Non ingannatevi, Giudei; è Lui che vi ha salvati nel mare e vi ha nutriti nel deserto, è Lui la vita, la luce e la pace del mondo».
 

Il Sabato di Lazzaro

     Giunti al termine della Grande Quaresima dei digiuni la Chiesa ci propone la contemplazione del mistero della risurrezione di Lazzaro. Questa ricorrenza, insieme all’ingresso a Gerusalemme, commemorato domani, presenta un carattere gioioso che si discosta dal precedente cammino quaresimale e dai successivi avvenimenti della Passione.
Il racconto del Vangelo di Giovanni colloca la risurrezione di Lazzaro pochi giorni prima della Passione del Signore. Gesù venne invitato ad andare a Betània perché il suo amico Lazzaro era gravemente ammalato, ma Egli invece di affrettarsi, ritardò la partenza, tanto da arrivare a Betània quattro giorni dopo la morte di Lazzaro. Il senso di questo suo attardarsi è ben esposto nella pericope evangelica che viene letta nella Liturgia: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». Infatti il Signore trasformerà l’evento naturale della morte di Lazzaro in una epifania della sua misericordiosa potenza.
     Al suo arrivo a Betània Gesù trovò le sorelle di Lazzaro, Marta e Maria in lutto per la morte del fratello. San Giovanni nel raccontare questo avvenimento mette in evidenza il diverso atteggiamento delle due donne davanti al Signore e, benché entrambe lo rimproverino del suo ritardo, di Marta ne evidenzia la fiducia: «[‘]Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà», mentre di Maria il dolore, che provocherà la commozione dello stesso Gesù.
     Gesù chiese dov’era il luogo della sepoltura e recandosi sul posto ordinò che venisse tolta la pietra che chiudeva il sepolcro. Questa sua richiesta generò stupore e incomprensione, tant’è che Marta per evidenziarne l’assurdità sottolineò che Lazzaro era lì da quattro giorni ed ormai puzzava. Ma l’insistenza  di Gesù convinse i presenti ad agire secondo la sua parola. Alzando gli occhi al cielo Gesù pregò e ringraziò il Padre per quello che stava per avvenire e con voce decisa invitò Lazzaro ad uscire dal sepolcro. L’insolita scena che apparve ai molti che erano accorsi in quei giorni ad assistere le sorelle in lutto, divenne ancora più incomprensibile quando videro Lazzaro uscire dal sepolcro con tutte le sue bende funebri. La meraviglia, lo stupore e la gioia furono tali che di lì a breve quella esperienza sovrannaturale sarebbe stata conosciuta in tutta la Giudea.
     Come sottolineano i testi liturgici che in tutta la settimana di Quaresima appena trascorsa ci preparano a questo avvenimento, il miracolo di Betània rivela le due nature di Cristo, il Dio-Uomo. Cristo piange per Lazzaro e in questo mostra tutta la pienezza della sua umanità, che implica il dolore autentico per la morte di un caro amico; ma poi manifesta anche la sua natura divina, poiché risuscita Lazzaro dai morti, anche se il suo corpo ha già iniziato a decomporsi e puzza. Questa doppia pienezza della divinità del Signore e della sua umanità è da tenere in considerazione nella Grande e Santa Settimana, soprattutto il Venerdì, quando sulla Croce si manifesterà una vera agonia umana, sia fisica che mentale: la sofferenza umana di Dio.
 
 
 

Alla conclusione della Quaresima…

Dell’Archimandrita Donato Oliverio
 
‘Alla conclusione della Quaresima’ chiediamo di poter vedere la santa settimana della tua passione, per glorificare le tue grandi opere e l’ineffabile piano della nostra salvezza’.
            Con queste parole, cantate al vespro del venerdì delle Palme, termina la quaresima e noi entriamo nella commemorazione annuale delle sofferenze di Cristo, della sua morte e della sua risurrezione. Comincia il sabato di Lazzaro. La doppia festa della risurrezione di Lazzaro e dell’entrata del Signore a Gerusalemme è chiamata nei testi liturgici ‘preludio della croce’ ed è dunque nel contesto della grande e santa settimana che si manifesta meglio il suo significato. Il tropario comune a questi due giorni ci dice: ‘Per confermare la fede nella comune risurrezione, prima della tua passione, hai risuscitato Lazzaro dai morti’.
            La gioia che risuona nell’ufficiatura sottolinea il tema principale: la vittoria ormai vicina di Cristo sull’ade e che ci fa entrare nel mistero liturgico della Pasqua.
Lazzaro, l’amico di Gesù, personifica ciascuno di noi e tutta l’umanità. Ogni uomo è stato creato amico di Dio, ed è chiamato a questa amicizia divina che consiste nella conoscenza di Dio, nella comunione con lui, nel condividere la sua stessa vita: In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini’ (Gv 1,4).
Ecco perché il sabato di Lazzaro inaugura allo stesso tempo la Croce come supremo sacrificio dell’Amore e la Risurrezione come suo ultimo trionfo, ed è proprio la potenza dell’Amore che restituisce la vita.

Domenica V di Quaresima: Santa Maria Egiziaca

di Papàs Vittorio Scirchio
 
Giunti quasi al termine della Quaresima, la Chiesa propone alla nostra considerazione la figura ascetica di Santa Maria Egiziaca. L’intento è quello di mostrare ai fedeli ed al Cristiano di ogni epoca la potenza della conversione in genere e, nello specifico, la trasformazione radicale dell’individuo che incontra Cristo: Maria, da prostituta della corrotta Alessandria d’Egitto, ad esempio di ascesi, degna di essere paragonata negli sticheri del Vespro a Giovanni Battista.
Nata nel 345 circa in Egitto, visse da prostituta per 17 anni. Travagliata interiormente per il tipo di vita che conduceva, un giorno si imbarcò con dei pellegrini per la Terra Santa. Nella città Santa di Gerusalemme, il giorno della festa della Croce cercava di entrare anche lei nella Basilica, ma una forza la respingeva e solo l’intercessione della Madre di Dio le permise di entrare e di venerare il Sacro Legno. Questo episodio segnò la conversione di Maria. Uno degli sticheri del Vespro scrive: «Volto lo sguardo a un’icona della Madre di Dio, riconosciute tutte le precedenti colpe, con fiducia ti sei prostrata al legno prezioso».
Dopo la conversione Maria si ritirò nel deserto per irrorarlo con le sue lacrime di pentimento e di penitenza: «essendosi stabilita nel deserto lungo il Giordano, scelse la stessa dimora del Battista». Nel deserto iniziò la sua lotta ascetica, combattendo la sua buona battaglia e trasformandosi quasi in pura preghiera «sollevandosi da terra, durante i suoi colloqui con Dio» (Sticheri del Vespro). Fu lo ieromonaco Zosima a raccontare la vicenda della sua vita, avendola incontrata nel suo luogo di penitenza. Maria chiese a Zosima che la visitasse periodicamente per portarle la comunione e nell’anno 421 lo ieromonaco, essendo andato per portarle la comunione, la trovò morta. La Santa è veneratissima in oriente, ma anche in occidente.
La Chiesa Bizantina, volendo sostenere i fedeli a perseverare nell’agone delle virtù, presenta la figura di Maria Egiziaca, affinché essi possano continuare e terminare in pace la Quaresima, contemplare la vivificante passione del Signore e, il giorno della Resurrezione, risorgere attraverso il dono del Santissimo Spirito sgorgato dal Suo costato trafitto. La figura di Maria Egiziaca è immagine della guarigione del cuore dal buio in cui si trova, grazie all’incontro con Gesù. Benedetto XVI nel suo messaggio per la Quaresima 2011 scrive: «Cristo vuole aprire il nostro sguardo interiore, perché la nostra fede diventi sempre più profonda e possiamo riconoscere in Lui l’unico nostro Salvatore».
La pericope evangelica che si legge in questa domenica è tratta dal vangelo di Marco (Mc 10, 32-45). Secondo me è uno dei testi più belli di questo vangelo perché contiene l’essenzialità del messaggio di Gesù. Gesù termina il suo ‘cammino’ e si apre quello di «Gerusalemme». Sono gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù e nella pericope si parla di una predizione dettagliata e articolata della sua imminente passione. Scrive J. Mateos nel suo commento al suddetto passo: «Gesù smentisce l’attesa dei Dodici (o nuovo Israele), i quali sperano che Gesù prenda il potere politico nella capitale. Per questo espone loro l’ostilità mortale del sistema religioso giudaico contro di lui, e il risultato, che non sarà il suo trionfo personale, ma la vittoria del sistema, anche se solo apparente, poiché la morte non interromperà la sua vita».
Agli ‘Erode’, ‘ai grandi’, ‘ai capi delle nazioni’ che esercitano il dominio dell’uomo sull’uomo, Gesù oppone un modello di servizio e di dedizione che crea l’uguaglianza.
 
 

Sabato dell’Inno Akatistos (9 aprile 2011)

     Nell’anno 626, Persiani, Avari e Slavi assediarono la città imperiale di Costantinopoli, mentre l’imperatore Eraclio e il corpo principale dell’esercito bizantino erano in Oriente. Le navi nemiche avevano occupato il Corno d’Oro e sulla terra gli avversari erano pronti per l’attacco con fanti, cavalli e macchine da guerra. Anche se i cittadini cercavano coraggiosamente di resistere, erano pochi e incapaci di respingere l’attacco di un tale grande esercito. Non restava altro che sperare nella protezione della Theotòkos, la Madre di Dio.
     All’improvviso una tempesta violenta si abbatté sulle navi nemiche facendole affondare e le truppe di terra degli invasori furono scacciate dal quartiere di Blacherne dove si trovava la famosa Chiesa della Theotòkos. Prendendo coraggio da questo evento miracoloso la gente uscì dalla città e respinse le forze rimanenti, che fuggirono per la paura. Nel 673, la città fu miracolosamente liberata ancora una volta da una invasione degli Arabi. Poi, nel 717-718, guidati dal generale saraceno Maslamah, la flotta araba assediò nuovamente la città. La superiorità numerica del nemico fu così travolgente che la caduta della città imperiale sembrava imminente. Ma la Madre di Dio, insieme a una moltitudine di schiere angeliche, apparve all’improvviso sopra le mura della città. Le forze nemiche fuggirono gettate nel panico da quell’apparizione. Poco dopo la flotta araba fu completamente distrutta da una terribile tempesta nel mar Egeo, alla vigilia dell’Annunciazione, il 24 marzo 718.
     Da allora venne istituita una speciale ‘festa della vittoria e del ringraziamento’ per celebrare e commemorare queste liberazioni ad opera della Madre di Dio e l’Inno Akatistos, per la sua magnificenza, ne detiene il posto d’onore. Sembra che anche prima degli assalti nemici narrati, l’Akatistos fosse già in uso come servizio previsto per la festa dell’Annunciazione, insieme con il kontakion, ‘Quando l’angelo seppe l’arcana missione…‘, che ha come tema l’Annunciazione. Ed è stato solo in occasione del grande miracolo del 718 che l’inno ‘A te che, qual condottiera’‘ è stato composto, molto probabilmente da San Germano, Patriarca di Costantinopoli.
     Gli storici hanno attribuito l’Inno Akatistos a diversi autori: a Sergio, patriarca di Costantinopoli (638), a san Giorgio il Confessore, vescovo di Pisidia (818), o anche a san Fozio il Grande (891), tutti vissuti durante o dopo gli assedi narrati. Tuttavia, sembra più probabile dal suo linguaggio, dai contenuti e dallo stile che il vero compositore dell’inno Akatistos sia san Romano il Melode (VI sec.).