Santuario Diocesano Santi Cosma e Damiano

EPARCHIA DI LUNGRO degli Italo Albanesi dell’Italia Continentale
Diocesi Cattolica Bizantina
(a.t.) ROMA – Lo scorso 21 ottobre è stato conferito un Dottorato honoris causa in filosofia a Sua Santità il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, proprio all’indomani dell’incontro di preghiera promosso dalla Comunità di Sant’Egidio in piazza del Campidoglio, subito dopo un pomeriggio di preghiera in cui le varie religioni si erano incontrate in differenti luoghi di Roma per pregare, invocando l’unità e la pace.
Alla cerimonia di conferimento, alla quale sono intervenuti il cardinale Pietro Parolin (Segretario di Stato di Sua Santità), il cardinale Kurt Koch (Presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani), il cardinale Peter Turkson (Prefetto del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale), ha preso parte anche il vescovo della nostra Eparchia, S. E. Donato Oliverio, il quale si è intrattenuto a colloquio privato con Sua Santità, rinnovando quello spirito di amicizia e vicinanza che, soprattutto dopo i festeggiamenti del primo centenario dalla istituzione dell’Eparchia da parte di Benedetto XVI che hanno visto la presenza del Patriarca Bartolomeo in Eparchia, è diventato sempre più forte tra il patriarca e l’Eparchia, una realtà di matrice orientale in comunione con il successore di Pietro.
Con questa cerimonia di consegna, avvenuta in occasione della inaugurazione dell’anno accademico 2020-2021 che a causa della emergenza causata dal Covid-19 ha visto una ridotta presenza di partecipanti, il ministro generale dell’Ordine dei Frati Minori e gran cancelliere dell’Antonianum, fr. Michael Anthony Perry ha consegnato il primo Dottorato in Filosofia per il nuovo indirizzo ecologico, proprio per far risaltare l’impegno ecumenico del patriarca Bartolomeo, e in particolar modo nell’ambito della salvaguardia del creato, un tema che vede ormai da anni le Chiese cristiane impegnarsi e adoperarsi per rispondere sempre più e sempre meglio a quella originaria missione che vede l’uomo impegnato come custode del giardino e delle meraviglie del Creato.
L’intervista di Andrea Tornielli su «L’Osservatore Romano», 20 ottobre 2020, pp. 1/3
Santità, qual è stata la sua reazione alla lettura dell’enciclica «Fratelli tutti» di Papa Francesco?
Prima ancora di conoscere l’Enciclica Fratelli Tutti del nostro fratello Papa Francesco, abbiamo avuto la certezza che si sarebbe trattato di un altro esempio del suo incrollabile interesse per l’uomo, “l’amato di Dio”, attraverso la manifestazione della solidarietà verso tutti “gli affaticati e gravati” e i bisognosi, e che avrebbe contenuto proposte concrete per affrontare le grandi sfide del momento, ispirate dalla fonte inesauribile della tradizione cristiana, e che emergono dal suo cuore pieno d’amore. Le nostre aspettative sono state pienamente soddisfatte dopo aver completato l’analisi di questa interessantissima Enciclica, la quale non costituisce semplicemente un compendio o un sommario delle precedenti Encicliche o di altri testi di Papa Francesco, ma il coronamento e la felice conclusione di tutta la dottrina sociale. Siamo completamente d’accordo con l’invito–sfida di Sua Santità ad abbandonare l’indifferenza o anche il cinismo che governa la nostra vita ecologica, politica, economica e sociale in genere, come di unità centrate su sé stesse o disinteressate, e a sognare il nostro mondo come una famiglia umana unita, nella quale siamo tutti fratelli senza eccezioni. Con questo spirito esprimiamo l’auspicio e la speranza che l’Enciclica Fratelli tutti si riveli fonte di ispirazione e di dialogo fecondo attraverso l’assunzione di iniziative determinanti e azioni trasversali su un piano inter-cristiano, interreligioso e pan-umano.
Nel primo capitolo dell’Enciclica si parla delle “ombre ” che persistono nel mondo. Quali sono quelle che la preoccupano di più? E quale speranza ricaviamo dallo sguardo sul mondo che ci deriva dal Vangelo?
Con il suo acuto senso umanistico, sociale e spirituale, Papa Francesco individua e nomina le “ombre” nel mondo moderno. Parliamo di “peccati moderni”, anche se ci piace sottolineare che il peccato originale non è avvenuto nei nostri tempi e nella nostra epoca. Non idealizziamo affatto il passato. Giustamente, tuttavia, siamo turbati dal fatto che i moderni sviluppi tecnici e scientifici hanno rafforzato l’“hybris” dell’uomo. Le conquiste della scienza non rispondono alle nostre fondamentali ricerche esistenziali, né le hanno eliminate. Constatiamo anche che la conoscenza scientifica non penetra nelle profondità dell’anima umana. L’uomo lo sa, ma si comporta come se non lo sapesse.
Il Papa parla anche del persistente divario tra i pochi che possiedono molto e tanti che possiedono poco o nulla…
Lo sviluppo economico non ha ridotto il divario tra ricchi e poveri. Piuttosto, ha stabilito la priorità del profitto, a scapito della protezione dei deboli, e contribuisce all’esacerbazione dei problemi ambientali. E la politica è diventata serva dell’economia. I diritti umani e il diritto internazionale vengono elaborati e servono scopi estranei alla giustizia, alla libertà e alla pace. Il problema dei rifugiati, il terrorismo, la violenza di Stato, l’umiliazione della dignità umana, le moderne forme di schiavitù e l’epidemia di covid-19 stanno ora mettendo la politica davanti a nuove responsabilità e cancellano la sua logica pragmatistica.
Qual è, di fronte a questa situazione, la proposta del cristianesimo?
La proposta di vita della Chiesa è la svolta verso il “una cosa sola è necessaria”, e questa è l’amore, l’apertura all’altro e la cultura della solidarietà delle persone. Davanti al moderno arrogante “uomo-dio” predi – chiamo il “Dio-Uomo”. Di fronte all’economicismo, diamo posto all’economia ecologica e alla attività economica che si basa sulla giustizia sociale. Alla politica del “diritto del più forte”, opponiamo il principio del rispetto degli inalienabili diritti dei cittadini e del diritto internazionale. Di fronte alla crisi ecologica, siamo chiamati al rispetto del creato, alla semplicità e alla consapevolezza della nostra responsabilità di consegnare alla prossima generazione un ambiente naturale integro. Il nostro sforzo per affrontare questi problemi è indispensabile, ma sappiamo che colui che opera attraverso di noi è il Dio amico degli uomini.
Perché l’icona del Buon Samaritano è attuale oggi?
Cristo collega in particolare il “primo e grande comandamento” dell’amore verso Dio con il “secondo simile al primo” comandamento dell’amore per il prossimo (Mt 22, 36–40). E aggiunge: «Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». E Giovanni il teologo è molto chiaro: «Chi non ama, non ha conosciuto Dio» (Gv 4, 8). La parabola del Buon Samaritano è vicina alla parabola del Giudizio (Mt 25, 31–46), è (Lc 10, 25–37) il testo biblico, che ci rivela tutta la verità del comandamento dell’amore. In questa parabola, il Sacerdote e il Levita rappresentano la religione, che è chiusa in sé stessa, si interessa solo di mantenere la “legge” inalterata, ignorando e trascurando in modo farisaico le «prescrizioni più gravi della legge» (Mt 23, 23), l’amore e il sostegno al prossimo. Il Buon Samaritano si rivela essere lo straniero filantropo vicino a colui che è stato percosso dai banditi e ferito. Alla domanda iniziale del dottore della legge «Chi è il mio prossimo?» (Lc 10, 29), Cristo risponde con una domanda: «Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?» (Lc 10, 36). Qui all’uomo non è permesso fare domande, ma gli viene chiesto e viene chiamato ad agire. È sempre necessario far emergere il prossimo, il fratello, davanti e nei confronti del lontano, dello straniero e del nemico. È da notare che nella parabola del Buon Samaritano, in accordo con la domanda del dottore della legge che mette alla prova Cristo «Che devo fare per ereditare la vita eterna» (Luca 10, 25), in risposta ad essa, il reale amore per il prossimo ha un chiaro riferimento soteriologico. Questo è anche il messaggio della pericope del Giudizio.
Su quali basi possiamo considerarci tutti fratelli e perché è importante scoprirsi tali per il bene dell’umanità?
I cristiani della Chiesa nascente si chiamavano tra loro “fratelli”. Questa fratellanza spirituale e Cristocentrica è più profonda della parentela naturale. Per i cristiani, tuttavia, fratelli non sono solo membri della Chiesa, ma tutti i popoli. La Parola di Dio ha assunto la natura umana e ha unito tutto in sé. Come tutti gli esseri umani sono creazione di Dio, così tutti sono stati inseriti nel piano della salvezza. L’amore del credente non ha confini e limiti. Infatti, abbraccia l’intero creato, è «l’ardere del cuore per tutta la creazione» (Isacco il Siro). L’amore per i fratelli è sempre incomparabile. Non si tratta di un sentimento astratto di simpatia verso l’umanità, che di solito ignora il prossimo. La dimensione della comunione personale e della fratellanza distingue l’amore e la fratellanza cristiana dall’umanesimo astratto.
Il Papa nell’Enciclica pronuncia una condanna molto forte della guerra e della pena di morte. Come commenta quel capitolo di «Fratelli tutti»?
A questo tema si è riferito il Santo e Grande Concilio della Chiesa Ortodossa (Creta, giugno 2016), tra gli altri, in questo modo: «La Chiesa di Cristo generalmente condanna la guerra, che considera il risultato del male e del peccato» (La Missione della Chiesa ortodossa nel mondo moderno, D, 1). Sulle labbra di ogni cristiano deve esserci lo slogan “Mai più guerra!”. E l’atteggiamento di una società nei confronti della pena di morte è un indicatore del suo orientamento culturale e della considerazione della dignità dell’uomo. Il degno sistema della cultura costituzionale europea, di cui uno dei pilastri fondamentali è l’idea dell’amore, come espressione delle sue credenze cristiane, impone di considerare che a ogni uomo deve essere data la possibilità di pentimento e di miglioramento, anche se è stato condannato per il peggior crimine. È pertanto conseguenza logica e morale che anche colui, che condanna la guerra, rifiuti la pena di morte.
È un dono pregare insieme. Ringrazio e saluto con affetto tutti voi, in particolare Sua Santità il Patriarca Ecumenico, il mio fratello Bartolomeo, il Reverendissimo Arcivescovo di Canterbury Justin e il caro Vescovo Heinrich, Presidente del Consiglio della Chiesa Evangelica in Germania. Purtroppo, il Reverendissimo Arcivescovo di Canterbury Justin non è potuto venire a causa della pandemia.
Il brano della Passione del Signore che abbiamo ascoltato si situa appena prima della morte di Gesù e parla della tentazione che si abbatte su di Lui, stremato sulla croce. Mentre vive il momento più alto del dolore e dell’amore, molti, senza pietà, scagliano contro di Lui un ritornello: «Salva te stesso!» (Mc 15, 30). È una tentazione cruciale, che insidia tutti, anche noi cristiani: è la tentazione di pensare solo a salvaguardare sé stessi o il proprio gruppo, di avere in testa soltanto i propri problemi e i propri interessi, mentre tutto il resto non conta. È un istinto molto umano, ma cattivo, ed è l’ultima sfida al Dio crocifisso.
Salva te stesso. Lo dicono per primi «quelli che passavano di là» (v. 29). Era gente comune, che aveva sentito Gesù parlare e operare prodigi. Ora gli dicono: «Salva te stesso, scendendo dalla croce». Non avevano compassione, ma voglia di miracoli, di vederlo scendere dalla croce. Forse anche noi a volte preferiremmo un dio spettacolare anziché compassionevole, un dio potente agli occhi del mondo, che s’impone con la forza e sbaraglia chi ci vuole male. Ma questo non è Dio, è il nostro io. Quante volte vogliamo un dio a nostra misura, anziché diventare noi a misura di Dio; un dio come noi, anziché diventare noi come Lui! Ma così all’adorazione di Dio preferiamo il culto dell’io. È un culto che cresce e si alimenta con l’indifferenza verso l’altro. A quei passanti, infatti, Gesù interessava solo per soddisfare le loro voglie. Ma, ridotto a uno scarto sulla croce, non interessava più. Era davanti ai loro occhi, ma lontano dal loro cuore. L’indifferenza li teneva distanti dal vero volto di Dio.
Salva te stesso. In seconda battuta si fanno avanti i capi dei sacerdoti e gli scribi. Erano quelli che avevano condannato Gesù perché rappresentava per loro un pericolo. Ma tutti siamo specialisti nel mettere in croce gli altri pur di salvare noi stessi. Gesù, invece, si lascia inchiodare per insegnarci a non scaricare il male sugli altri. Quei capi religiosi lo accusano proprio a motivo degli altri: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso!» (v. 31). Conoscevano Gesù, ricordavano le guarigioni e le liberazioni che aveva compiuto e fanno un collegamento malizioso: insinuano che salvare, soccorrere gli altri non porta alcun bene; Lui, che si era tanto prodigato per gli altri, sta perdendo sé stesso! L’accusa è beffarda e si riveste di termini religiosi, usando due volte il verbo salvare. Ma il “vangelo” del salva te stesso non è il Vangelo della salvezza. È il vangelo apocrifo più falso, che mette le croci addosso agli altri. Il Vangelo vero, invece, si carica delle croci degli altri.
Salva te stesso. Infine, anche quelli crocifissi con Gesù si uniscono al clima di sfida contro di Lui. Com’è facile criticare, parlare contro, vedere il male negli altri e non in sé stessi, fino a scaricare le colpe sui più deboli ed emarginati! Ma perché quei crocifissi se la prendono con Gesù? Perché non li toglie dalla croce. Gli dicono: «Salva te stesso e noi!» (Lc 23, 39). Cercano Gesù solo per risolvere i loro problemi. Ma Dio non viene tanto a liberarci dai problemi, che sempre si ripresentano, ma per salvarci dal vero problema, che è la mancanza di amore. È questa la causa profonda dei nostri mali personali, sociali, internazionali, ambientali. Pensare solo a sé è il padre di tutti i mali. Ma uno dei malfattori osserva Gesù e vede in Lui l’amore mite. E ottiene il paradiso facendo una sola cosa: spostando l’attenzione da sé a Gesù, da sé a chi gli stava a fianco (cfr. v. 42).
Cari fratelli e sorelle, sul Calvario è avvenuto il grande duello tra Dio venuto a salvarci e l’uomo che vuole salvare sé stesso; tra la fede in Dio e il culto dell’io; tra l’uomo che accusa e Dio che scusa. Ed è arrivata la vittoria di Dio, la sua misericordia è scesa sul mondo. Dalla croce è sgorgato il perdono, è rinata la fraternità: «la Croce ci rende fratelli» (Benedetto XVI, Parole al termine della Via Crucis, 21 marzo 2008). Le braccia di Gesù, aperte sulla croce, segnano la svolta, perché Dio non punta il dito contro qualcuno, ma abbraccia ciascuno. Perché solo l’amore spegne l’odio, solo l’amore vince fino in fondo l’ingiustizia. Solo l’amore fa posto all’altro. Solo l’amore è la via per la piena comunione tra di noi.
Guardiamo al Dio crocifisso, e chiediamo al Dio crocifisso la grazia di essere più uniti, più fraterni. E quando siamo tentati di seguire le logiche del mondo, ricordiamo le parole di Gesù: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8, 35). Quella che agli occhi dell’uomo è una perdita è per noi la salvezza. Impariamo dal Signore, che ci ha salvati svuotando sé stesso (cfr. Fil 2, 7), facendosi altro: da Dio uomo, da spirito carne, da re servo. Invita anche noi a “farci altri”, ad andare verso gli altri. Più saremo attaccati al Signore Gesù, più saremo aperti e “universali”, perché ci sentiremo responsabili per gli altri. E l’altro sarà la via per salvare sé stessi: ogni altro, ogni essere umano, qualunque sia la sua storia e il suo credo. A cominciare dai poveri, dai più simili a Gesù Cristo. Il grande arcivescovo di Costantinopoli San Giovanni Crisostomo scrisse che «se non ci fossero i poveri, in larga parte sarebbe demolita la nostra salvezza» (Sulla II Lettera ai Corinzi, XVII, 2). Il Signore ci aiuti a camminare insieme sulla via della fraternità, per essere testimoni credibili del Dio vero vivo.
Chiesa Madre di Santa Maria Assunta in Cielo (sec XVIII).
La Chiesa cosi come la vediamo oggi, risale alla fine del XVIII secolo, infatti, si nota molto bene lo stile tardo Barocco a croce Latina. Ricostruita probabilmente su una Chiesa risalente al XV secolo, andata distrutta durante la guerra fra Angioini ed Aragonesi, per la successione alla corona del Regno di Napoli; nel ricostruirla il popolo di Frascineto l’ha ampliata nella parte del Vima (altare), cioè ad oriente, come si evince dai registri parrocchiali nello stesso periodo. Nell’ampliarla furono anche fatti gli stucchi ancora esistenti per opera di Bernardo Pallasciano di Salerno. Il 16 Dicembre 1856 a causa di una scossa di terremoto crollo il campanile, che si era notevolmente indebolito nei mesi precedenti a causa di violenti temporali e fu ricostruito.
Nel 1903 e stata edificata l’attuale Cupola, di questa si conserva ancora il progetto.
Negli anni 40 del XX secolo è stato demolito l’altare di Rito Romano (Latino) dopo che nel 1919 era stata costituita l’Eparchia (Diocesi) di Rito Bizantino Greco-Albanese di Lungro ed edificato quello secondo il Rito Bizantino, sormontato da un Baldacchino.
Nel 1947 è ultimata l’Iconostasi muraria su progetto dell’architetto Grassi di Roma e dell’ingegner Mainieri di Morano Calabro ed ultimate le 33 Icone che l’adornano, queste sono state dipinte dal monaco benedettino dell’Abbazia di Chevetogne in Belgio, Gerolamo Leussing che aveva imparato l’arte iconografica in Russia, allievo del grande maestro Sufronov; queste infatti sono dipinte secondo la tradizione Russa dei Vecchi Credenti. La maggior parte delle sue opere sono conservate negli Stati Uniti ed in Canada.
Nella Chiesa si trovano anche 3 tele dipinte di scuola napoletana settecentesca, 2 di queste sono certamente attribuibili a Gualtiero Genisio di Morano Calabro, celebre pittore di quegli anni. Nel 1987 è donata alla Chiesa da parte dell’Archimandrita Giuseppe Ferrari, già parroco di Frascineto dal 1940 al 1956, l’Icona della Glikofilusa (Madonna del Dolce Abbraccio) dipinta sul Sacro Monte Athos da un monaco sconosciuto e ricoperta dalla Riza, cesellata a Salonnico dalla Locale Accademia Iconografica.
Nel 1997 la Chiesa viene totalmente restaurata negli stucchi e nella tinteggiatura ed arricchita di numerose Icone di varia grandezza, vanno ricordate le 2 grandi Iconi della Crocifissione e del Battesimo di nostro Signore Gesù Cristo, commissionate da papas Francesco Solano e le 21 Iconi dell’Inno Akathistos poste negli applique, unico esempio di iconi riguardanti questo inno che si trovano in Europa Occidentale, tutte queste icone come le precedenti sono state dipinte dall’Iconografo albanese Josif Droboniku.
Nel 2009 viene costruito il Trono Episcopale in legno da parte dell’artigiano Gianni Gioia di Frascineto e nello stesso periodo viene anche fatto il Mosaico della Platitera, posto dietro l’altare commissionato da papàs Vincenzo Scarvaglione, parroco di Frascineto dal 1963 al 2004.
Nell’anno 2014 viene inaugurato il maestoso affresco posto sull’intera parete della chiesa principale nel lato ovest, che rappresenta la Dormizione della Santissima Madre di Dio, patrona della chiesa. L’affresco è opera dell’agiografa ortodossa greca Sofia Papazoglou, coadiuvata dall’albanese Demetrio Gjino, residenti ad Atene, ed è stato offerto dal protopresbitero A. Bellusci, parroco di Frascineto dal 2004 al 2014.
Su iniziativa dell’attuale parroco, papàs Gabriel Sebastian Otvos, le tre pareti del santo Vima sono state abbellite con cinque maestosi e splendidi affreschi bizantini, offerti da sacerdoti, suore, fedeli e popolo di Frascineto.
Gli affreschi sono stati magistralmente eseguiti dal giovane iconografo rumeno Cosmin Biro.
I cinque novi affreschi ricoprono tutte le ampie pareti, conferendo all’intero Santuario uno splendore proprio ed esclusivo ed un fascino celestiale. La presenza iconografica nel santo Vima di angeli, arcangeli, apostoli, asceti, dottori e santi padri della chiesa universale, elevano in alto i cuori e lo spirito durante le celebrazioni, offrendo momenti di estasi e di contemplazione celestiale.
Chiesa di Santa Lucia (sec. XVI)
La Chiesa risale al secolo XVI ed è dedicata a Santa Lucia, Vergine e Martire. Nella sua semplicità di stile barocco si presenta con una sola navata e custodisce all’interno una meravigliosa ed elegante iconostasi (1993) di marmo e ricca di simboli liturgici. Tra le numerose opere ed icone di particolare significato, sono i dipinti della Platytera e del Cristo Pantokrator e le icone con la raffigurazione degli aspetti più importanti della vita e del martirio di Santa Lucia.
Chiesa di San Pietro (sec. X)
E’ la Chiesa più antica esistente a Frascineto, risale al secolo X. Era officiata da monaci basiliani di rito bizantino fino al 1734. i quali hanno lasciato le loro inconfondibili tracce di spiritualità fino al presente. La pianta della Chiesa è di stile bizantino, realizzata a tre navate con cupola e presbiterio tipicamente orientali.
Momenti (alcuni) della parrocchia:
Il 13 novembre 1977 Mons. Giovanni Stamati, su richiesta dei fedeli, ha eretto la Parrocchia “San Giovanni Crisostomo” in contrada Piano dello Schiavo di Firmo, all’epoca in forte espansione demografica, nominandone parroco Padre Daniele Refrontolotto, dei Frati Minori Conventuali.
Nel 1978 hanno inizio i progetti per la costruzione della chiesa di “S. Giovanni Crisostomo”, in stile bizantino, ma i lavori, guidati dall’ing. Giulio Scura, inizieranno solo all’inizio degli anni ’90.
La chiesa si presenta esternamente come una croce greca quadriconca, inscritta in un quadrato attraverso l’aggiunta di un corpo basso alla cassa architettonica originaria. Dalla forma quadrata, comunque, emergono di poco le absidi laterali e centrale, mentre sulla facciata frontale è posto l’exo-nartece. Questo è composto da una copertura piatta sorretta da quattro colonne con plinto e capitello pressoché cubici.
Aggiunto al fianco destro, nella parte posteriore, il campanile a base quadrata, il cui acroterio termina con una forma di arco ribassato su tutti i quattro lati.
All’intersezione tra le due braccia della croce si eleva la cupola emisferica. All’esterno essa è quasi totalmente coperta sui quattro lati da altrettante pareti arcate su cui si aprono delle finestre circolari.
L’iconostasi lignea, installata nel luglio 2000, consta di due ordini. La Porta Regia, ad arco ribassato, è chiusa in basso da due battenti su cui è raffigurata l’Annunciazione del maestro Luigi Elia Manes. Sopra la Porta stessa l’icona della Mistica Cena, sormontata da croce a due facciate, con sul fronte il Crocefisso e sul retro il Risorto, sempre di Manes. Nel registro inferiore, accanto alla Porta Regia, sono le icone del Cristo e della Madre di Dio, di Alfonso Caccese, inserite in due θοράκια di dimensioni maggiori rispetto agli altri. Le porte diaconali, ad anta lignea intera, quando chiuse si confondono con i θοράκια laterali, di medesima forma e dimensione, riportano le icone dei santi diaconi e martiri Stefano e Lorenzo, ad opera del maestro Josif Droboniku. Ai lati esterni del registro basso, quindi, le icone di S. Giovanni Crisostomo, patrono titolare della Parrocchia, e di S. Giovanni Battista, per mano del maestro Anna Marinaro.
Nel registro superiore sono dodici spazi uguali su cui prenderanno posto le dodici icone delle Grandi Feste. L’iconostasi lignea, inoltre, presenta egregi lavori di intaglio con in basso i simboli dei quattro evangelisti, mentre nel tramezzo tra i due registri una vite con dodici grappoli d’uva, di chiara allusione simbolica al Cristo-vite. L’iconostasi è ancora in fase di completamento.
Nel luogo di culto, oltre all’iconostasi, vi sono numerose icone, tra cui quella del santo patrono S. Giovanni Crisostomo e una raffigurante S. Panteleimon, di Josif Droboniku. Inoltre vi è una preziosa icona di S. Giovanni Crisostomo scritta da Papàs Mario Santelli. Tutt’oggi sono in corso i lavori per l’iconizzazione del luogo di culto.
Ogni anno, il 13 novembre, ha luogo la festa patronale dedicata a S. Giovanni Crisostomo, preceduta da alcuni giorni di preparazione, mentre il 29 giugno si festeggiano solennemente i santi Pietro e Paolo, apostoli.
Nell’anno del Signore, 2014, Domenica 26 gennaio, è stata trasmessa su Rai 1, per la prima volta in lingua arbereshe, la Celebrazione della Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo, dalla parrocchia italo-albanese di San Costantino albanese (Pz). La Divina Liturgia è stata presieduta da S.E. Mons. Donato Oliverio, Vescovo di Lungro, ed hanno concelebrato: il Protosincello dell’Eparchia, Protopresbitero Pietro Lanza, , Papàs Lorenzo Forestieri, il Parroco di San Paolo Albanese, Papàs Francesco Mele, e il Segretario del Vescovo, Papàs Sergio Straface.
I canti sono stati eseguiti in lingua arbëreshe dal Coro parrocchiale di San Costantino il Grande e dal Coro polifonico bizantino della Cattedrale di Lungro, diretto da Papàs Gabriel S. Otvos.